Tutto ruota intorno ai telomeri, filamenti di Dna e proteine non codificanti ma con un ruolo chiave nel preservare stabilità e integrità dei cromosomi alle cui estremità sono collocati. A ogni divisione cellulare, una parte di questi telomeri viene persa, motivo per il quale la loro lunghezza viene oggi considerata un marker di invecchiamento.
I ricercatori spagnoli hanno preso in esame i dati di 645 uomini e 241 donne – età media 67,7 anni – dei quali avevano a disposizione sia campioni di saliva per l’analisi del Dna, sia informazioni dettagliate sulla dieta giornaliera.
I partecipanti sono stati in quattro gruppi (quartili, q) sulla base del consumo di cibi ultraprocessati: q1, meno di 2 porzioni al giorno; q2, da 2 a 2,5 porzioni; q3, da 2,5 a 3; q4, più di 3.
I risultati hanno messo in evidenza come le persone afferenti al quartile più alto avevano maggiori probabilità di una storia familiare di malattie cardiovascolari, diabete e dislipidemia. Chi apparteneva a questo gruppo, faceva più spesso spuntini tra i pasti, consumava più grassi (saturi e polinsaturi), sodio, colesterolo, fast food e carni lavorate a discapito di carboidrati, proteine, fibre, olio d'oliva, frutta, verdura e altri micronutrienti.
In aggiunta, il gruppo di ricerca ha messo in evidenza come il rischio di telomeri più corti aumentava al crescere del consumo di cibi ultra-processati: da q1 a q2, + 29%; q2-q3, +40%; q3-q4, + 82%. Inoltre, aumentava anche il rischio di depressione (specialmente nei pazienti con bassi livelli di attività fisica), ipertensione, sovrappeso/obesità e mortalità per tutte le cause.
Così concludono gli autori: "In questo studio trasversale condotto su soggetti spagnoli anziani abbiamo dimostrato una forte associazione tra il consumo di cibo ultra-elaborato e la lunghezza dei telomeri. Per confermare queste osservazioni, però, sono necessarie ulteriori ricerche e studi longitudinali più estesi con misurazioni di base e ripetute della lunghezza dei telomeri”.
Nicola Miglino