Sindrome dell’ovaio policistico: la corretta strategia dietetica

20 Luglio 2020

Colpisce il 5-10% delle donne, insorge nel periodo puberale ed è considerata l’alterazione endocrina più comune in età fertile. La Sindrome dell’ovaio policistico (Pcos) è stata un tema al centro dei lavori della recente edizione di Nutrimi 2020, durante la quale, per voce di Vittoria Roscigno e Daria Bongiovanni, dietiste presso l’Humanitas Gradenigo di Torino, si è discusso di come alimentazione e stile di vita possano essere di aiuto nel migliorarne il quadro clinico.

“Si parla di Pcos quando si presentano almeno due dei seguenti criteri: oligo-ovulazioni o anovulazioni, iperandrogenismo, cisti ovariche” precisa Roscigno.  “Segni, sintomi e conseguenze possono essere: amenorrea, infertilità, acne, irsutimo, alopecia, disordini metabolici e stato infiammatorio, patologie cardiovascolari, problematiche legate a fegato e colecisti, obesità, disordini ormonali, disordini dell’umore, ridotta densità minerale ossea, fino a evoluzioni in patologie oncologiche”.

Secondo quanto emerso a Nutrimi 2020, manca ancora la definizione di un’eziologia precisa, ma sembra trattarsi di un disordine complesso con influenze multifattoriali quali: genetica, fattori ambientali, stile di vita, alcuni interferenti endocrinie AGEs (Advanced Glycation End products) esogeni. Questi ultimi si trovano prevalentemente in alimenti ricchi di grassi saturi e idrogenati. Bassi livelli si riscontrano invece in alimenti vegetali quali legumi, frutta e verdura, cereali.

“La Pcos è spesso associata ad adiposità addominale, insulino-resistenza, obesità nel 50-80% dei casi e disordini metabolici” prosegue Roscigno. “Lo squilibrio nel controllo neuroendocrino potrebbe portare anche a disfunzioni nella regolazione dell’appetito, predisponendo quindi eventualmente le donne con Pcos a consumare più calorie del necessario. Oltretutto, la flessibilità metabolica delle donne affette da Pcos è spesso compromessa, a causa della condizione di insulino-resistenza e iperinsulinemia di compenso. Un Bmi > 25 peggiora, inoltre, segni, sintomi e conseguenze: il tessuto adiposo altera l’ambiente endocrino partecipando alla produzione e conversione di ormoni sessuali e rilascia adipochine. Tutte queste condizioni sono fattori di rischio per insorgenza di malattie cardiovascolari, Diabete di tipo 2 (Dmt2), tumore dell’endometrio ed esiti avversi per quanto riguarda la fertilità”.

Secondo Roscigno e Bongiovanni, la letteratura concorda nell’affermare che modifiche dello stile di vita siano più efficaci rispetto a ogni terapia farmacologica presa singolarmente nel migliorare peso, Bmi, testosterone totale, insulinoresistenza, profilo lipidico, marker infiammatori, esito riproduttivo, prevenzione o ritardo nell’insorgenza di Dmt2, iperandrogenismo.

Occhio al Bmi

La prima modifica da attuare è tendere a un Bmi <24,9 tenendo conto che un calo ponderale del 5-10% è già considerato clinicamente significativo. Fortemente consigliata una regolare attività fisica: attività aerobica a moderata intensità per almeno 30 minuti 5 volte a settimana e/o attività aerobica vigorosa per almeno 20 minuti 3 volte a settimana. L’ottimizzazione dei risultati si ottiene con l’aggiunta di due sedute a settimana in giorni non consecutivi di pesistica.

“Poiché le donne con Pcos hanno un tasso di abbandono che arriva fino al 50%, rispetto alla popolazione generale che si attesta attorno al 31%, risulta importante puntare modifiche comportamentali durature che garantiscano un’aderenza al piano alimentare nel lungo periodo”, dice Bongiovanni. “Alcuni studi riportano che un programma di cambiamento dello stile di vita che setti obiettivi realistici per quanto riguarda calo ponderale ed esercizio fisico induca outcome positivi sul lungo termine per quanto riguarda metabolismo glucidico e possibilità di gravidanza.  Già con un calo ponderale dell’11% in sei mesi è stato riscontrato un miglioramento della sensibilità insulinica del 70% e tale cambiamento è stato associato al ripristino delle funzionalità riproduttive”.

Diete low-carb e chetogeniche

Considerate le alterazioni del metabolismo insulinico nella Pcos, è stato indagato il ruolo dei carboidrati sia nella patogenesi sia nel percorso delle pazienti dopo la diagnosi.

“Sembra che i carboidrati derivati da latticini e alimenti amidacei, nonché le proteine del siero del latte, provochino una secrezione insulinica post-prandiale maggiore rispetto a frutta, verdura e carboidrati non amidacei” precisa Roscigno. “Tuttavia, non è stata trovata alcuna relazione significativa tra i carboidrati o gli altri macronutrienti e ormoni come insulina, ormone antimülleriano, testosterone libero e totale, che sia responsabile di produrre un fenotipo di Pcos. A ora l’evidenza è che non è stata dimostrata la superiorità di approcci dietetici low-carb nel trattamento di pazienti con Pcos, di diete al 30% di proteine, rispetto a una dieta bilanciata basata sul pattern mediterraneo. Alcuni dati riportano che un approccio low-carb ha sì permesso un calo ponderale più rapido rispetto a un approccio classico con distribuzione dei macronutrienti 55% Cho, 15% P, 30% L in sei mesi, ma tale perdita di peso non è stata mantenuta oltre i 12 e 36 mesi”.

Secondo quanto ribadito nel corso di Nutrimi 2020, quest’anno interamente digitale per vie dell’emergenza pandemica in corso, vi sono solo lievi evidenze che correlano un approccio chetogenico a un miglioramento della condizione generale di donne con Pcos. I meccanismi considerati sono una riduzione di Igf-1 e dei livelli ematici di insulina, ma sono necessari ulteriori studi di approfondimento in questa direzione.

Restrizione calorica

“In generale, la restrizione calorica sembra essere più importante della ripartizione stessa dei macronutrienti e qualsiasi dieta ipocalorica che garantisca una riduzione del 5-10% del peso porta ad un miglioramento dei parametri metabolici tipici di pazienti con Pcos”, sottolinea Bongiovanni. “Le attuali evidenze pongono l’attenzione sulla riduzione del carico glicemico a ogni pasto. Una dieta con attenzione al carico glicemico e a un migliore rapporto omega-3:omega-6, mantenendo un alto apporto di fibra e un basso apporto di grassi saturi, può migliorare la sensibilità insulinica, la regolarità mestruale e il profilo lipidico in donne con Pcos. Dal punto di vista quantitativo, per pazienti con Bmi > 25 la letteratura consiglia una riduzione di circa 500-1.000 kcal/die rispetto al fabbisogno giornaliero. Calare ulteriormente in termini di kcal potrebbe essere causa di maggiore drop out dall’aderenza al piano alimentare”.

Così conclude Rescigno: “La letteratura è concorde sul fatto che la distribuzione dei macronutrienti 50% Cho, 20% P, 30% L rappresenti la migliore composizione della dieta in termini di qualità, quantità e sostenibilità sul lungo termine. Ulteriori raccomandazioni pongono l’attenzione sul mantenere gli AGEs più bassi possibili e ripartire i pasti in modo equilibrato durante la giornata per aiutare a consumare meno kcal, evitare cravings di particolari alimenti, assumere più micronutrienti e meno grassi, meno sodio e diminuire in generale il senso di fame. Non sono attualmente presenti valide evidenze sull’integrazione di folati e inositoli per il miglioramento della sintomatologia e dei parametri tipici della Pcos”.

Nicola Miglino

 

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