Vitamina D e cancro: nuovi studi fanno luce su possibili impieghi

24 Giugno 2020

Due review e uno studio clinico da poco pubblicati ripropongono con forza un ruolo della vitamina D non soltanto nella prevenzione dei tumori ma anche nella prognosi e nella gestione degli effetti collaterali di chemio e immunoterapia.

Su Seminars in Cancer Biologyun’analisi della letteratura condotta da Carsten Carlberg dell'Università della Finlandia orientale e da Alberto Muñoz dell'Università autonoma di Madrid, fa il punto sui meccanismi di segnale intercellulari in cui è coinvolta la vitamina D e il loro ruolo nella prevenzione e nella cura del cancro.

Nota per il suo coinvolgimento nel metabolismo osseo, la vitamina D, ribadiscono gli Autori, svolge una funzione regolatoria anche a livello del sistema immunitario, con effetti antitumorali mediati principalmente da monociti e cellule T.

Secondo l’analisi, le prove più robuste a sostegno dei benefici antitumorali riguardano il cancro del colon-retto, le leucemie e i linfomi.

“La vitamina D svolge un ruolo importante sia per la differenziazione delle cellule del sangue durante l'emopoiesi sia per quella delle staminali adulte nei tessuti a rapida rigenerazione, come il colon o la pelle” ricordano gli Autori. “Bassi livelli determinano potenziali gravi conseguenze: alterata differenziazione cellulare, crescita incontrollata e sviluppo di tumore”.

Anche in caso di carcinoma mammario e prostatico si sono evidenziate correlazioni tra incidenza, qualità della prognosi e carenza di vitamina D anche se, in generale, gli Autori sottolineano come l’integrazione non abbia finora dimostrato in modo convincente di ridurre la mortalità per cancro in studi randomizzati controllati.  Ciò che a loro giudizio emerge è una variabilità individuale nella risposta alla vitamina D. Già studi precedenti dello stesso gruppo di ricerca avevano, infatti, dimostrato come, per esempio, il 25% della popolazione finlandese sembri avere una bassa reattività alla vitamina D al punto da necessitare di dosi più elevate per raggiungere il pieno beneficio clinico.

Lo studio pubblicato su Current opinion on supportive and palliative care, apre, invece, uno spiraglio di luce sulla possibile mitigazione di alcuni effetti collaterali gastrointestinali della chemioterapia, in particolare le mucositi.

“Conosciamo bene il ruolo della vitamina D nell'assorbimento del calcio, ma sappiamo, per esempio, come gravità e progressione di diverse malattie infiammatorie croniche intestinali si associno a una sua carenza e recenti evidenze ne suggeriscono un’utilità anche in caso di mucosite da chemioterapia”, sottolinea Andrea Stringer, docente all’Australian South University, coordinatrice dell’analisi.

“Ciò sembra legato da una parte a un effetto antinfiammatorio e, dall’altra, a un potenziamento delle difese immunitarie, esercitato in particolare sui linfociti T. È ormai assodato che la vitamina D svolga una funzione che va ben oltre quella legata al calcio, ma è necessario approfondire gli studi sulla sua azione a livello intestinale, anche in termini di interazione con il microbiota. Gli stessi probiotici si sono dimostrati efficaci su due sintomi classici da chemio, ovvero la diarrea e il dolore addominale, senza però benefici nell’attenuazione delle mucositi. Noi riponiamo molte speranze nella vitamina D che consideriamo oggi la strada più promettente per alleviare i sintomi gastrointestinali da chemioterapia".

A conferma di queste indicazioni giungono i risultati di uno studio clinico pubblicato su Cancer, organo ufficiale dell’American cancer society, che ha preso in esame l’impiego di vitamina D nel controllo di eventi avversi gastrointestinali in corso di immunoterapia, in particolare la comparsa di colite.

Sono stati valutati 213 pazienti con melanoma trattati con immunoterapici. Di questi, a inizio terapia 66 (31%) hanno ricevuto una supplementazione di vitamina D: il rischio di sviluppare colite si è ridotto del 65%. Lo stesso in un altro gruppo di 169 pazienti: la vitamina D ha ridotto la comparsa di colite del 54%.

"I nostri risultati possono avere ricadute importanti nella pratica clinica” dice Osama Rahma, del Dana-Farber Cancer institute, Harvard medical school di Boston. "Si tratta di un approccio sicuro, facilmente accessibile ed economico per prevenire la tossicità gastrointestinale dell'immunoterapia e migliorare l'efficacia del trattamento con inibitori del checkpoint immunitario nei pazienti oncologici".

Nicola Miglino

 

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