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Acido palmitoleico, una lipochina con benefiche ricadute metaboliche

15 Gennaio 2020

Tra gli acidi grassi alimentari in grado di modulare le risposte metaboliche e immunitarie, l'acido palmitoleico (16:1, Omega-7) è quello i cui effetti sono oggi meno chiari. 

Gli studi sull'uomo ne riportano livelli ematici elevati in persone con obesità e sindrome metabolica, probabilmente in virtù di una maggiore attività della stearoil-CoA-desaturasi (Scd-1), enzima chiave nel metabolismo degli acidi grassi monoinsaturi (Mufa).

I substrati dell’enzima sono molteplici, ma quelli che manifestano maggiore specificità sono l’acido palmitico e l’acido stearico, i quali sono convertiti rispettivamente in palmitoleico e oleico, i composti maggiormente rappresentati nei fosfolipidi di membrana.

Nell'uomo, la biosintesi di questo grasso si verifica principalmente nel fegato e secondariamente nel tessuto adiposo, dove viene poi incorporato in fosfolipidi, trigliceridi, cere ed esteri del colesterolo.

Se è vero che questa è la via principale per la generazione di palmitoleato, recenti evidenze indicano che potrebbe essere anche prodotto in modo endogeno dalla riduzione di acido vaccenico introdotto con la dieta attraverso il consumo di latticini, con un tasso di conversione del 17%.

L’ acido palmitoleico è ormai considerato una lipochina sulla base di prove che dimostrano come possa essere rilasciato dal tessuto adiposo ed esercitare effetti metabolici in organi distanti, aumentando l'assorbimento del glucosio mediante modulazione della proteina chinasi 5'Amp attivata (AmpK) e incrementando la lipolisi mediante l'attivazione del recettore-α (Pparα) nel tessuto adiposo. 

Lecito quindi chiedersi se possa rappresentare una plausibile strategia non farmacologica per prevenire, controllare o migliorare i disordini metabolici e infiammatori cronici, attraverso l'assunzione con la dieta e/o la sua integrazione.

Le fonti alimentari ad alto contenuto di palmitoleato includono salmone, olio di fegato di merluzzo e olio di macadamia (rispettivamente 6%, 7% e 17% degli acidi grassi totali). Attualmente, la più alta concentrazione di palmitoleato riportata negli alimenti corrisponde all'olivello spinoso, raggiungendo anche il 42% del grasso totale.

Se l’enzima stearoil-CoA-desaturasi gioca un ruolo chiave è importante ricordare che l'assunzione di carboidrati ne aumenta l'espressione e, pertanto, vi è una relazione diretta tra le concentrazioni di carboidrati nella dieta e il palmitoleato plasmatico.

Detto ciò è necessario studiare ulteriormente il ruolo quali e quantitativo giocato da nutrienti specifici al fine di chiarire se i cambiamenti nella dieta e nello stile di vita inducano miglioramenti metabolici proprio attraverso il palmitoleato.

Fino ad oggi l'acido palmitoleico purificato ha mostrato benefici ipolipemizzanti e antinfiammatori in studi in aperto, epidemiologici e su modelli animali, con correlazioni dirette o inverse con obesità ed epatosteatosi, e un significativo miglioramento o prevenzione dell'insulino-resistenza e del diabete, ma sono necessari ulteriori studi per chiarire i meccanismi e stabilire dosi umane appropriate.

Silvia Ambrogio

Bibliografia

Is palmitoleic acid a plausible nonpharmacological strategy to prevent or control chronic metabolic and inflammatory disorders? Mol utr Food Res. (2018

The role of the novel lipokine palmitoleic acid in health and disease. Adv Nutr. 2017 Jan 17;8(1):173S-181S.

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