Adhd, promettono bene gli integratori a supporto delle cure consolidate

20 Luglio 2020

La nutraceutica va rivelandosi un approccio promettente al trattamento dell’Adhd (Disturbo da deficit di attenzione/iperattività), soprattutto nell’ottica di una integrazione con le strategie terapeutiche oggi disponibili. Queste le conclusioni di una revisione della letteratura condotta da un gruppo di ricerca italiano e pubblicato recentemente su Nutrients. Ne abbiamo parlato con due delle Autrici, Eleonora Rosi e Silvia Grazioli, del Laboratorio di Psicopatologia dello sviluppo, Irccs E. Medea, Bosisio Parini (Lc).

D.ssa Rosi, che tipo di malattia è l’Adhd?

È l’acronimo di Attention deficit/hyperactivity disorder, il più frequente disturbo del neurosviluppo nell’età scolare con una prevalenza mondiale che si aggira fra il 3% e il 7%, con maggiore interessamento nel sesso maschile. Le manifestazioni cliniche possono essere con prevalenza di sintomi di disattenzione, ugualmente frequenti in maschi e femmine, sintomi di iperattività/impulsività, più frequenti nei maschi, o con presenza di sintomi combinati. Nel primo caso è evidente un discontrollo dei processi attentivi che nell’età dell’insorgenza si manifesta come una marcata difficoltà nel mantenere l’attenzione sull’attività in corso, un evitamento di compiti che richiedono grande sforzo cognitivo, facile distraibilità. Nel secondo caso prevalgono un’eccessiva attività motoria, irrequietezza, fatica a rimanere seduti e rispettare il proprio turno. Il tipo combinato presenta entrambe le aree sintomatologiche. Alcuni studi recenti suggeriscono che nell’Adhd sia, inoltre, particolarmente frequente una difficoltà nella regolazione delle emozioni, che si manifesta come una fatica da parte del bambino nel regolare l’attivazione in risposta a emozioni forti, con conseguenti comportamenti disorganizzati e inappropriati rispetto al contesto.

Come si effettua la diagnosi?

Ci si basa su un’accurata valutazione del bambino da parte del neuropsichiatra infantile o dello psicologo, con il coinvolgimento della famiglia e degli insegnanti, e viene effettuata quando le difficoltà sono tanto marcate da rendere significativamente faticoso l’adattamento dell’individuo al proprio contesto di vita. L’Adhd è manifestazione di uno sviluppo cerebrale atipico: mostra quindi i primi segni nell’età infantile e caratterizza il futuro sviluppo neurocognitivo in adolescenza e nell’età adulta.

Quali sono attualmente le cure disponibili?

Una cura definitiva a oggi non esiste in quanto la causa non è unica ma molteplice. Tuttavia, le linee guida elaborate dalla Società italiana di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza raccomandano la personalizzazione dell’intervento clinico sulla base delle caratteristiche del bambino e della famiglia al fine di offrire all’individuo e al suo contesto sociale buoni margini di miglioramento dello stato di benessere. Tali linee guida fanno riferimento a trattamenti basati su prove di efficacia valutati tramite la letteratura scientifica internazionale, che incoraggiano un approccio terapeutico multimodale.

Multimodale su quali fronti?

Si suggeriscono un intervento psicologico comportamentale per il bambino in età scolare e interventi cognitivi e metacognitivi a partire dalla preadolescenza, una presa in carico della famiglia in programmi di Parent Training, oltre a coinvolgimento e supervisione degli insegnanti. Il trattamento combinato prevede, accanto agli interventi sopra descritti, una terapia farmacologica per il bambino, nei casi più complessi e gravi principalmente con psicostimolanti come il metilfenidato, che agiscono intensificando l’attività delle aree cerebrali connesse alle funzioni di auto-controllo. Gli effetti collaterali della farmacoterapia quali alterazioni dell’appetito, gastrointestinali e del sonno, non sono frequenti ma possibili e in alcuni casi si riscontrano difficoltà di aderenza al trattamento farmacologico da parte della famiglia.

Negli ultimi anni, inoltre, la ricerca internazionale ha mostrato evidenze a favore dell’efficacia di integratori alimentari di diversa natura nel miglioramento sintomatologico, focus dell’articolo recentemente pubblicato sulla rivista Nutrients dal nostro gruppo di ricerca.

D.ssa Grazioli, che tipo di studio avete condotto e con quali obiettivi?

Si tratta di una revisione delle pubblicazioni internazionali dal 2010 a marzo 2020 circa l’efficacia delle supplementazioni non farmacologiche nel miglioramento della sintomatologia dell’Adhd.  L’obiettivo era offrire ai clinici un’analisi critica e aggiornata delle evidenze a favore dell’utilizzo di integratori alimentari nel trattamento dei sintomi in bambini e adolescenti.

Non è stato possibile effettuare metanalisi dei risultati ottenuti dai 42 studi individuati, in quanto le metodologie sperimentali risultavano altamente eterogenee. Tuttavia, il grande numero di studi selezionati ci ha permesso di giungere a importanti conclusioni circa l’efficacia dei trattamenti proposti.

L’obiettivo finale è quindi proporre ai professionisti del settore clinico e nutrizionale strumenti per la pianificazione di un intervento individualizzato anche dal punto di vista dell’integrazione nutrizionale rispetto alle caratteristiche del bambino.

A quali conclusioni siete giunti?

In primis, la maggior parte degli studi ha riportato effetti benefici dell’integrazione non farmacologica sulla sintomatologia riportata dai familiari o valutata dal clinico. Non è tuttavia chiaro se si tratti di un effetto di “distorsione” dei risultati legato al fatto che tendenzialmente vengano pubblicati studi che riportano risultati positivi e non studi che presentano assenza di risultati.

Quali sostanze sono state maggiormente oggetto di studio?

Acidi grassi polinsaturi, con prevalenza di omega-3, peptidi e derivati aminoacidici come l-carnosina e fosfatidilserina, micronutrienti quali zinco, vitamina D, magnesio e minerali, estratti di piante o erbe come ginko biloba, ginseng rosso coreano, granuli di Ningdong, estratto di mandorle e, infine, probiotici come Lactobacillus rhamnosus.  In particolare, l’utilità del trattamento riguarda in alcuni casi un miglioramento dei sintomi cardine dell’Adhd e in altri una diminuzione degli effetti collaterali del trattamento farmacologico somministrato in concomitanza.

Circa la metà degli articoli individuati prevedeva la somministrazione di acidi grassi polinsaturi, probabilmente per evidenze sperimentali che suggeriscono una minor concentrazione sanguigna di tali molecole in bambini con Adhd; solo uno studio, al contrario, si è focalizzato sulla supplementazione con probiotici nonostante sempre più evidenze sottolineino gli effetti benefici della presenza di tali batteri nell’intestino.

Ciò che sembrerebbe risultare, tuttavia, è che spesso i bambini con questa diagnosi presentano particolarità nelle preferenze alimentari le quali probabilmente comportano uno sbilanciamento dei nutrienti principali nella dieta; di conseguenza, i risultati positivi o negativi riportati dagli studi di letteratura possono essere meglio interpretati alla luce delle caratteristiche del bambino e della sua alimentazione.

Alla luce dei risultati quali suggerimenti si sente di dare sull’uso dei nutraceutici nell’ Adhd?

Dai risultati emersi l’approccio nutraceutico al trattamento dell’Adhd sembrerebbe essere promettente soprattutto nell’ottica di una integrazione con approcci terapeutici caratterizzati da una più lunga tradizione di ricerca. Non incoraggiamo, infatti, il solo intervento di integrazione nutrizionale ma al contrario una pianificazione multimodale dell’intervento in un’équipe che possa comprendere psicologi, neuropsichiatra e arricchimento dell’intervento nutrizionale tramite una valutazione approfondita e da parte di esperti. In ogni caso, per qualsiasi suggerimento specifico è necessaria un’attenta osservazione del bambino riguardante le caratteristiche individuali, tra cui particolari carenze e abitudini alimentari, e relativo parere medico/neuropsichiatrico. 

Che prospettive immagina per il futuro in questo ambito?

Si tratta di un ambito innovativo e di grande interesse scientifico. In futuro probabilmente si arriverà, grazie ai risultati della ricerca, a una integrazione dell’approccio nutrizionale al trattamento di patologie del neurosviluppo per un trattamento sempre più sfaccettato e centrato sugli specifici bisogni del paziente.

In una prospettiva più a breve termine, in ricerca immaginiamo un ampliamento degli studi in questo settore, non solo tramite la supplementazione con Pufa o vitamine già ampiamente studiati, ma anche con altri nutrienti quali, per esempio, prebiotici, probiotici e simbiotici che agiscono sul microbiota intestinale

Il nostro team di ricerca ha in passato condotto uno studio sull’efficacia della supplementazione con l’acido docosaesaenoico e ne condurrà un altro a partire dai prossimi mesi, supportato da Fondo europeo di sviluppo regionale dell’Unione europea, ministero della Salute e Regione Lombardia, utilizzando la categoria di supplementazioni pre-, pro- e sim-biotica i bambini con diagnosi di Adhd.

D.ssa Rosi, l’area del microbiota sembra tra le più promettenti…

Numerosi dati sperimentali confermano il ruolo del microbiota intestinale nel mantenimento dello stato di salute, data la sua funzione immunomodulatoria e neuromodulatoria. Una minore diversità microbica è stata osservata in pazienti affetti da sindrome dell'intestino irritabile, artrite psoriasica, diabete di tipo 1 e 2, eczema atopico, celiachia, obesità e nelle malattie croniche intestinali quali la malattia di Crohn: il ruolo del microbiota è un settore nuovo e promettente che va approcciato con rigore metodologico e ricerche accurate, anche nel campo dei disturbi del neurosviluppo, quale possibile fattore favorente i percorsi di cura.

Nicola Miglino

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