Dieta e longevità, si apre la strada verso nuovi probiotici

20 Ottobre 2020

La longevità è caratterizzata da un calo progressivo della diversità nella composizione del microbiota intestinale.  Tutto questo si traduce in una perdita di geni coinvolti nella produzione di acidi grassi e in un incremento dei geni coinvolti nel metabolismo degli aminoacidi con conseguente aumento delle funzioni proteolitiche pro-infiammatorie. In questa ottica, sta suscitando grande interesse lo sviluppo di nuovi probiotici, al fine di integrare, in maniera specifica, proprio quei gruppi microbici la cui abbondanza si riduce con l’invecchiamento. Ne abbiamo parlato con Patrizia Brigidi, docente di Biotecnologie delle fermentazioni, presso il dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna “Alma Mater”.

P.ssa Brigidi, esiste una correlazione tra età e composizione microbiotica intestinale?

L’età è una delle maggiori covariate che correlano con le modificazioni di composizione e funzionalità del microbiota intestinale. È stato infatti dimostrato che il microbiota intestinale umano descrive una specifica traiettoria lungo l’intero arco della nostra vita, consentendo di adattarci ai cambiamenti nutrizionali e di stile di vita che avvengono nelle diverse età.

Cosa succede con il passare degli anni?

Il microbiota dei neonati, il cosiddetto infant-type microbiota, è molto semplice, cambia rapidamente ed è dominato da gruppi batterici che metabolizzano gli zuccheri del latte umano, stimolano lo sviluppo e la maturazione del sistema immunitario e sintetizzano vitamine, quali i folati. 

Verso circa i tre anni si sviluppa un microbiota maturo, dominato fa Firmicutes e Bacteriodetes, distintivo dell’età adulta, definito come adult-type microbiota. È caratterizzato da una alta complessità e adattabilità necessarie per fronteggiare una dieta molto complessa come quella dell’adulto e per garantire il miglioramento dell’efficienza digestiva, l’omeostasi energetica, l’omeostasi immunitaria e l’azione di barriera competitiva per prevenire l’adesione di enteropatogeni.

Con l’invecchiamento, segnato da alterazione del sistema immunitario, aumentata permeabilità intestinale e profonde modificazioni della motilità e delle funzioni gastrointestinali, il microbiota intestinale degli anziani - elderly type microbiota - presenta una ridotta diversità e resilienza, con un incremento di patobionti e di batterici proteolitici che sostengono l’infiammazione, fenomeno che va sotto il nome di inflammageing.

Il vostro gruppo di ricerca da tempo studia centenari e supercentenari. Cosa rivela l’analisi del loro microbiota?

A oggi il nostro gruppo di ricerca ha descritto la più lunga traiettoria del microbioma umano associata all’invecchiamento, studiando soggetti adulti sani italiani divisi, in base all’età, in 4 gruppi: giovani, 22-48 anni; anziani, 65-75 anni; centenari, 99-104 anni e semisupercentenari, 105-109 anni.

Abbiamo dimostrato che, a livello di microbioma, la longevità è caratterizzata da un calo progressivo della diversità e da un forte riarrangiamento con un aumento di specie subdominanti. Sul piano funzionale questo si traduce in una perdita di geni coinvolti nella produzione di acidi grassi, quindi un forte calo del potenziale saccarolitico, accompagnata da un incremento dei geni coinvolti nel metabolismo degli aminoacidi, specie aromatici, con conseguente aumento delle funzioni proteolitiche pro-infiammatorie.

Comunque, specie nei semisupercentenari, è stato evidenziato un arricchimento in gruppi microbici definiti health-promoting, soprattutto produttori di butirrato, quali Christensenellaceae, Akkermansia e Bifidobacterium. Questi componenti del microbiota promuovono sia l’immunomodulazione, proteggendo l’ospite dall’infiammazione., sia l’omeostasi metabolica. Pertanto, questi microrganismi potrebbero rappresentare una “firma” di adattamento ai cambiamenti nutrizionali e di stile di vita associati alla longevità, ipotesi questa confermata dalla scoperta che anche il profilo del microbiota di centenari cinesi, che hanno abitudini alimentari e stili di vita molto diversi dai nostri centenari italiani, presenta un arricchimento dei medesimi gruppi microbici health-promoting. Ciò apre l’affascinante prospettiva di sviluppare probiotici di nuova generazione specifici per sostenere l’invecchiamento in salute.

Firma di adattamento o “firma microbica”. Ci spiega meglio?

Numerosissimi sono gli studi che dimostrano come, a livello di microbiota intestinale, ogni essere umano abbia un suo corredo altamente individuale di microorganismi, acquisito alla nascita, che persiste per tutta la vita, pur subendo perturbazioni che possono essere anche molto profonde. È stato valutato infatti che, sebbene esista un “core” comune del microbiota, circa il 70% dei filotipi che colonizzano l’intestino è individuo-specifico e nessun filotipo è presente con più dello 0.5% di abbondanza in tutti gli individui. Ciò significa che la variabilità interindividuale è incredibilmente elevata e che ciascuno di noi possiede un proprio specifico subset di centinaia di specie che costituiscono la nostra cosiddetta “firma microbica”.

Dieta, prebiotici, probiotici e trapianto fecale: su cosa puntare per un invecchiamento in salute?

Tutti questi approcci hanno l’obiettivo di rimodulare un alterato microbiota intestinale correlato a numerose patologie croniche, molte delle quali associate all’invecchiamento. È indubbio che dieta, consumo di probiotici e prebiotici siano un modo più fruibile e impiegato per favorire il mantenimento di un ecosistema intestinale eubiotico rispetto al trapianto fecale che, a oggi, è utilizzato nel trattamento di specifiche patologie, quali le infezioni intestinali da Clostridium difficile, sebbene si stia studiando la sua efficacia terapeutica anche in altre situazioni di malattia.

Relativamente all’impiego dei probiotici per favorire l’invecchiamento in salute, sono stati ottenuti risultati davvero molto interessanti in modelli animali, sia di topo che di C. elegans, per promuove la longevità.

In questa ottica, ritengo di particolarmente interesse lo sviluppo di nuovi probiotici, selezionati in modo razionale, per integrare, in maniera specifica, proprio quei gruppi microbici la cui abbondanza sappiamo si riduce con l’invecchiamento. Questo è un tema molto caldo sul quale stanno lavorando diversi laboratori di ricerca, compreso il nostro, e sono convinta che i risultati non tarderanno.

Infine, vale la pena farsi analizzare il microbiota per capire se anche in quest’ambito esiste un’età anagrafica e una biologica? 

A oggi non si è ancora arrivati a una definizione specifica di eubiosi e di disbiosi, in termini di composizione e funzionalità del microbioma, che possa consentire di identificare cambiamenti significativi rispetto a un profilo ritenuto sano. Inoltre, lo studio del microbioma è particolarmente complesso sia per l’approccio analitico che può essere utilizzato, sia per quanto riguarda l’analisi dei risultati ottenuti. Purtroppo, non esiste ancora una standardizzazione dell’intero processo che consenta di comparare in maniera inequivocabile i dati ottenuti da laboratori diversi. Pertanto, spesso è difficile interpretare correttamente variazioni dei diversi gruppi microbici, anche se il livello di diversità è sicuramente uno dei parametri che ci aiuta di più a comprendere quanto il nostro microbiota stia bene e sia “giovane”. Una cosa comunque va ribadita con forza: la valutazione dell’analisi del microbiota deve sempre essere fatta da un medico.

Nicola Miglino

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