Grano e malattie glutine-correlate: facciamo il punto  

03 Febbraio 2021

Un recente numero speciale di Nutrients ha raccolto alcuni rilevanti contributi sulla correlazione tra consumo di cereali e salute. Una serie di ricerche originali e review che offrono una panoramica aggiornata sui rapporti, in particolare, tra assunzione di grano e malattie glutine-correlate. A coordinare lo speciale, Fabiana Zingone, gastroenterologa e ricercatrice dell’Università di Padova, cui abbiamo chiesto di raccontarci gli aspetti più rilevanti emersi dal lavoro.

D.ssa Zingone, quali sono, innanzitutto, i principali problemi legati alla diagnosi in quest’ambito clinico?

Il consumo di glutine è correlato a una serie di diverse condizioni cliniche che, negli ultimi anni, hanno assunto un’importante rilevanza epidemiologica e che possono essere raggruppate in tre grossi capitoli: i disordini immuno-mediati, in particolare la malattia celiaca, la dermatite erpetiforme e la meno definita atassia da glutine; le reazione allergiche, come l’allergia al grano; la sensibilità al glutine non celiaca o meglio ultimamente definita come sensibilità al grano non celiaca.

Mentre nei primi due casi abbiamo processi diagnostici standardizzati, che ci consentono di formulare una chiara diagnosi, per la sensibilità al glutine non celiaca manca un test diagnostico specifico della malattia, la cui diagnosi si basa, infatti, sull’esclusione delle altre entità e sul riferito malessere in seguito all’assunzione di glutine, che scompare con la sua eliminazione dalla dieta.

Quali sono i principali errore in cui si rischia di incappare?

Nella edizione speciale di “Nutrients” è stata inserita una revisione della letteratura, primo nome la Annalisa Schiepatti, del gruppo di Pavia, che ha ben delineato quali possano essere i vari errori nella diagnosi di tali problematiche. Ciò che maggiormente rende difficile, per esempio, la diagnosi, in particolare per la malattia celiaca, è l’ormai prassi comune di eliminare il glutine dalla dieta, ancor prima di eseguire il dosaggio anticorpale e/o la biopsia intestinale, quindi, prima ancora di una corretta definizione diagnostica. Questo necessariamente complica l’iter diagnostico.

Cosa emerge rispetto alla qualità di vita delle persone che seguono una dieta priva di glutine?

Da un lavoro condotto dal mio gruppo di ricerca su 100 nostri pazienti celiaci a dieta priva di glutine, nel 61% dei casi da meno di 5 anni, risulta, nel complesso, una buona qualità di vita dei pazienti. Tuttavia, si è evidenziato come soggetti giovani, con età inferiore ai 35 anni abbiano meno preoccupazioni relative allo stato di salute, rispetto a quelli di età superiore.

Inoltre, si sono osservati punteggi più bassi, quindi riferibili a una peggiore qualità di vita, in chi non aderiva bene alla dieta, in particolare per quanto riguarda i disturbi dell’umore. Questo, quindi, sottolinea che l’adesione alla dieta può migliorare anche gli aspetti psicologici, sebbene non sia possibile ben definire se la bassa aderenza alla dieta sia una causa o un effetto di tali disturbi.

Senza dubbio i pazienti celiaci, alla diagnosi, possono presentare, quando paragonati alla popolazione generale, una minore qualità di vita a cui si accompagna anche una maggiore prevalenza di ansia e depressione, così come di disturbi del sonno.

I miglioramenti con l’inizio della dieta sono frequenti. Tuttavia, sebbene nella maggior parte dei casi si perda lo stato di malessere che spesso influenza tali disordini alla diagnosi, entrano in gioco le conseguenti limitazioni che accompagnano necessariamente la dieta senza glutine. Per questo motivo è importante supportare il paziente nel percorso dietetico, aiutarlo in caso di perplessità ed essere pronti, lì dove fosse necessario, a un supporto psicologico.

Quali sono le maggiori complicanze?

La dieta priva di glutine rappresenta, a oggi, l’unica terapia per la malattia celiaca. Non vi sono, quindi, complicanze legate all’eliminazione del glutine dalla dieta, mentre quello che è riportato in letteratura è un maggiore rischio di sindrome metabolica nei soggetti a dieta, per cui è raccomadata non solo una dieta priva di glutine, ma anche una dieta equilibrata, ipocalorica se necessario. Nel numero speciale di Nutrients è riportato uno studio, sempre condotto dal mio gruppo, che ha valutato lo stato di conoscenza nutrizionale nei pazienti celiaci, paragonati a controlli e a pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali. È emerso che i pazienti celiaci sono meno a conoscenza delle comuni raccomandazioni nutrizionali, così come delle corrette fonti di nutrienti. Ciò sottolinea l’importanza che un centro dedicato alla malattia celiaca preveda la presenza, oltre che di un gastroenterologo esperto nella gestione della celiachia, anche di un dietista.

Ci sono novità sul fronte delle terapie farmacologiche per chi soffre di celiachia?

A oggi la dieta priva di glutine è l’unica terapia disponibile, ma sono in atto numerose ricerche che hanno l’obiettivo di trovare alternative a tale approccio terapeutico. Per esempio, sono in fase di studio trattamenti che mirano a digerire le componenti tossiche del glutine, prima che queste oltrepassino la barriera intestinale, mediante l’utilizzo di enzimi ingeriti per via orale. Altro tema in fase di valutazione è l’uso di probiotici/prebiotici che possano accelerare sui sintomi gastrointestinali i benefici dati dalla dieta priva di glutine.

Più in generale, per quanto riguarda il consumo di grano, si conferma il ruolo nella protezione cardiovascolare?

Nello speciale abbiamo inserito uno studio osservazionale prospettico, condotto in Giappone, che ha valutato lo sviluppo di ipertensione arteriosa in relazione al consumo di grano, in 3 anni di osservazione. Gli autori concludono che l’uso di grano è correlato a una percentuale minore di sviluppo di ipertensione arteriosa, ipotizzando, quindi, un ruolo protettivo dello stesso.

Che dire, infine, di una dieta a basso contenuto di Fodmap in caso di colon irritabile?

In questo caso ci allontaniamo dal mondo dei disturbi glutine correlati e affrontiamo il tema dell’intestino irritabile che, tuttavia, può essere in alcuni casi difficilmente differenziato da una sensibilità al glutine non celiaca, soprattutto in coloro che riferiscono un’associazione tra i sintomi e l’assunzione del glutine. La letteratura ha evidenziato l’efficacia di una dieta a basso contenuto di carboidrati poco assorbibili e altamente fermentabili, i cosiddetti Fodmaps, nei soggetti affetti da intestino irritabile, in particolare in quelli con la variante diarroica, che attribuiscono la propria sintomatologia ad una ampia varietà di cibi ad alto contenuto di questi carboidrati. Va sottolineato, che a differenza di ciò che accade nella malattia celiaca, sia nell’intestino irritabile, che nella sensibilità al glutine le restrizioni dietetiche non devono essere necessariamente seguite per tutte la vita, ma vanno modulate e definite in base alla risposta sintomatologica dei pazienti.

Nicola Miglino

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