Chetogenica ed emicrania cronica, da Torino nuovi dati di efficacia

17 Marzo 2021

Miglioramenti in otto casi su dieci, con riduzione di sintomi, attacchi e consumo di farmaci. Questi i principali risultati ottenuti da un gruppo di ricerca afferente all’Ospedale Gradenigo di Torino che ha voluto testare l’efficacia di un approccio chetogenico all’emicrania cronica. Dello studio, pubblicato su Neurological sciences, abbiamo parlato con Daria Bongiovanni, dietista e prima firma del lavoro.

D.ssa Bongiovanni, su quale razionale si basa l’idea che una dieta chetogenica possa essere utile in caso di emicrania cronica refrattaria alle cure?

Il razionale è totalmente scientifico e l’idea è diventata ormai una evidenza. L’Ebm degli ultimi anni mostra un ruolo cruciale dei corpi chetonici a livello del Sistema nervoso centrale, in particolare a opera del beta-idrossibutirrato, il corpo chetonico più presente nel torrente circolatorio. In particolare, sono stati dimostrati effetti neuromodulanti e anticonvulsivanti, per esempio attraverso l’aumento della produzione di Gaba e la riduzione di glutammato tramite aumento dell'espressione di glutammato decarbossilasi e contemporanea riduzione della degradazione del Gaba astrocitario;  antiossidanti e antinfiammatori, per esempio attraverso l’aumento della glutatione perossidasi a livello ippocampale e l’alterazione delle modificazioni post-traduzionali della proteina attraverso l'acetilazione della lisina e la β-idrossibutilazione. I corpi chetonici, inoltre, migliorano sensibilmente la respirazione mitocondriale, promuovendo la mitocondriogenesi e il potenziamento neuronale a lungo termine.

Voi che tipo di analisi avete condotto?

Il nostro è stato un open-label single arm clinical trial della durata di 10 mesi, condotto su 50 soggetti affetti da emicrania cronica secondo l’Ichd-3, ovvero l’International classification of headache disorders dell’International headache society: 16-30 attacchi al mese di durata variabile da 2 a 24 ore, una storia clinica di diversi tentativi di contenere i sintomi senza successo. Inoltre, tutti i pazienti arruolati nel nostro studio avevano sintomatologia riferibile ai criteri Moh - Medication overuse headache, ovvero cefalea da abuso di farmaci/farmaco-resistente. I pazienti sono stati trattati per tre settimane con dieta chetogenica a 30 g di carboidrati ma con apporto proteico e calorico variabile in base al peso e al Bmi. È stato quindi impostato un mese di transizione, con reintroduzione graduale progressiva dei carboidrati seguito da due mesi di mantenimento con dieta mediterranea a basso indice glicemico. I dati sono stati raccolti attraverso cartelle cliniche un diario dei sintomi quotidiano e il Midas.

Quali sono stati i risultati?

Gli esiti sono stati estremamente positivi e statisticamente significativi. In almeno l’80% dei pazienti vi sono stati miglioramenti, in circa il 90% si è verificata una riduzione delle ore quotidiane di sintomo, da 24 a 5 in media, con riduzione di assunzioni di dosi di farmaci da 30 a 6 al mese nell’86% dei casi. I giorni di mal di testa si sono ridotti del 75%, da 30 a 7,5 in media, e si è registrata anche una riduzione dell’intensità del dolore estremamente significativa. In un paio di casi i sintomi sono scomparsi completamente. Inoltre, tutti i soggetti sovrappeso/obesi avevano significativamente ridotto il loro peso corporeo normalizzando anche parametri metabolici non inseriti tra gli end-point dello studio ma clinicamente ugualmente importanti per la salute dei pazienti.

Esistono controindicazioni?

La dieta chetogenica è uno strumento terapeutico e come tutte le terapie deve essere prescritta sulla base di indicazioni ed esclusione di controindicazioni. Costituiscono controindicazione la grave insufficienza epatica, renale e cardiaca, infarto recente, gravi alterazioni del ritmo cardiaco, diabete mellito insulinodipendente, porfiria, abuso di alcol o di sostanze, disturbi psichiatrici gravi, disturbi del comportamento alimentare e gravidanza e allattamento, per i quali non ci sono ancora studi. Aggiungerei che, trattandosi di un percorso rigoroso, è opportuno indagare e verificare la reale presenza di motivazione da parte del paziente e la sua capacità di comprendere e attuare un percorso che per dimostrarsi efficace, soprattutto in campo neurologico, deve rispettare in modo esatto il rapporto di presenza/assenza inverso tra carboidrati e corpi chetonici.

Eventi avversi che possono compromettere l’aderenza al protocollo?

Se ben predisposta dal professionista e correttamente seguita dal paziente la dieta chetogenica presenta limitati rischi di eventi avversi. Nei primi giorni possono comparire disturbi da adattamento dovuti al passaggio metabolico dall’utilizzo dei carboidrati a quello dei corpi chetonici. In questa prima fase il sintomo emicranico, per esempio, può presentarsi anche in maniera rilevante per cui occorre avvisare il paziente affinché non si spaventi. Il tutto tende poi a ridursi al quarto/quinto giorno e a scomparire dopo la prima settimana. Sempre a causa dell’adattamento iniziale, possono comparire lieve astenia, alterazioni dell’alvo, senso di appetito che poi però tendono a scomparire con l’instaurarsi della chetosi. Successivamente, in cicli di terapia limitati nel tempo, tra i tre e i sei mesi, i sintomi più riportati sono la stipsi, correggibile solitamente con introduzione di fibre solubili, eventuali ipotensione ortostatica, affaticabilità muscolare, crampi, correggibili con aumento di sali minerali e acqua. Complessivamente la dieta chetogenica è una terapia che induce un senso di benessere ed è considerata una terapia sicura, tanto che alcuni autori iniziano a raccomandarla anche per periodi di oltre un anno, soprattutto se utilizzata in modo intermittente o a cicli. Un paziente con scarsa compliance potrebbe essere stato non ben selezionato dal terapeuta o non ben informato. 

In conclusione: che tipo di indicazioni cliniche si possono fornire in base ai dati della letteratura oggi disponibili?

Per una terapia storicamente nata per l’epilessia possiamo dire che negli ultimi 40 anni ha enormemente aumentato le sue indicazioni. Permangono quelle neurologiche, oltre che per l’epilessia farmacoresistente e la cura del mal di testa anche per le malattie neurologiche degenerative, soprattutto caratterizzate da alterazione del metabolismo mitocondriale con malattia di Alzheimer, Sla, sclerosi multipla. Trionfa oggi l’area metabolica, con consistenti indicazioni nell’obesità e in tutte le forme di insulinoresistenza come il diabete di tipo 2, la sindrome dell’ovaio policistico, la steatosi epatica, la sindrome metabolica. L’area ginecologica sta progressivamente incrementando le indicazioni anche per favorire la fertilità, per l’endometriosi e nella menopausa. Vi sono inoltre indicazioni in fase di ulteriore studio in campo oncologico, soprattutto in associazione a chemio e radioterapia. Infine, sono in aumento gli studi in ambito sportivo agonistico. In ogni caso, si tratta di terapie modulate sull’apporto proteico e calorico complessivo. 

Nicola Miglino

 

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