CoQ10, da una review italiana le applicazioni cliniche in cardiologia 

05 Maggio 2020

Ne sono ricchi le membrane cellulari e i mitocondri di diversi organi a partire proprio dal cuore cui provvede a un adeguato rifornimento di energia, esercitando anche un’importante funzione antiossidante e antinfiammatoria. Parliamo del CoQ10 che proprio per queste caratteristiche ha catturato l’attenzione degli scienziati tesi a comprenderne il ruolo quale integratore alimentare nelle patologie cardiovascolari o nella gestione dei fattori di rischio associati con patologie cardiovascolari. Ecco così che è stata da poco pubblicata una review da parte di un gruppo di ricercatori italiani che ha fatto il punto sull’argomento. Ne abbiamo parlato con uno degli Autori, Alma Martelli, Professore associato di Farmacologia presso il dipartimento di Farmacia dell’Università di Pisa.

P.ssa Martelli, che cos’è il CoQ10, in quali organi è maggiormente presente e qual è la sua funzione principale?

Si tratta di un importante fattore endogeno presente sia nelle membrane cellulari che nei mitocondri, le centrali energetiche delle cellule, e, sebbene sia un fattore ubiquitario, risulta particolarmente abbondante in quegli organi che si caratterizzano per una maggior richiesta di energia e un elevato metabolismo come cuore, reni, fegato, muscoli, pancreas e cervello. Il suo ruolo fisiologico è quello di mantenere il corretto funzionamento di tutti questi organi, principalmente provvedendo ad un adeguato rifornimento di energia. Tuttavia, più di recente è stato scoperto che ha anche azioni antiossidanti e antinfiammatorie che possono essere molto utili per prevenire il danno indotto dai radicali liberi e per impedire l’attivazione di processi infiammatori.

Qual è il rischio di un deficit?

Le riserve endogene di CoQ10 possono andare incontro a depauperamento con il progredire dell’età, a seguito di fattori genetici, a causa dell’assunzione di determinati farmaci, per esempio le statine, o a seguito di squilibri che si verificano durante patologie cardiovascolari, degenerative muscolari o neurodegenerative. Certamente, il deficit determinato da fattori genetici è causa di patolgie gravi come per esempio l’atassia cerebellare, una forma di incoordinazione infantile. Tuttavia, anche la riduzione dei livelli di CoQ10 che accompagna l’invecchiamento, la terapia con statine o le patologie cardiovascolari e degenerative, sembra esarcerbare i processi infiammatori e impedisce così il controllo di quei processi di ossidazione nei quali il CoQ10 svolgerebbe un ruolo importante come per esempio l’inibizione della perossidazione lipidica e dell’ossidazione delle Low density lipoprotein, comunemente conosciute come “colesterolo cattivo”.

Che tipo di analisi avete condotto e con quali obiettivi?

In questa ricerca, io e gli altri co-autori, abbiamo analizzato in maniera sistematica tutti gli studi clinici disponibili nelle banche dati Cochrane e Medline, che fossero focalizzati sull’uso del CoQ10 quale integratore alimentare da utilizzare nelle patologie cardiovascolari o nella gestione dei fattori di rischio associati con patologie cardiovascolari, soffermandoci con particolare attenzione sul ruolo del CoQ10 in: ipertensione, insulino resistenza e diabete di tipo II, dislipidemie, infiammazione sistemica, insufficienza cardiaca, infarto del miocardio, fibrillazione atriale, cardiomiopate non-ischemiche, ictus, patologie renali croniche, emicrania, pre-eclampsia ed intolleranza alle statine.

Quali conclusioni avete tratto sul fronte dei fattori di rischio cardiovascolare?

Per quanto riguarda l’ipertensione, il CoQ10 sembra avere un effetto positivo, incrementando la capacità dell’endotelio di biosintetizzare ossido d’azoto (NO) e determinando così vasodilatazione. Inoltre, contribuisce a rafforzare tale effetto ipotensivo agendo anche sul sistema renina-angiotensina attraverso la riduzione dei livelli di aldosterone. Nonostante questo effetto sia stato confermato in studi clinici preliminari dai quali è emerso un abbassamento dei livelli di pressione sistolica e diastolica di 6 e 5 mmHg rispettivamente vs placebo e nonostante precedenti metanalisi che includevano studi clinici randomizzati avessero confermato tali effetti positivi, una più recente metanalisi basata su 17 studi clinici ha confermato la capacità del CoQ10 di abbassare i livelli di pressione sistolica ma non quelli di diastolica. Pertanto, esistono evidenze a favore, ma i risultati più recenti ridimensionano l’efficacia sul valore della pressione diastolica che viene considerata maggiormente affidabile poiché meno soggetta a variazioni legate per esempio allo stato emotivo del paziente.

Altro?

In pazienti con sindrome metabolica, un’integrazione di 100mg/die per 8 settimane ha significativamente migliorato i principali parametri che misurano l’insulino resistenza, la funzione delle cellule beta del pancreas e i livelli sierici di insulina. In pazienti diabetici di tipo II, il CoQ10 ha dimostrato di ridurre in maniera significativa i parametri di glicemia a digiuno (-0.59 mmol/L) e il parametro più stabile dell’emoglobina glicata (HbA1c, -0,28%), mentre per quanto riguarda le dislipidemie, sebbene sia stata osservata un’azione positiva su parametri quali trigliceridi e Ldl, il CoQ10 sembra ridurre tali valori in maniera quantitativamente troppo modesta per avere rilevanza clinica.

E sulle patologie cardiache?

Poiché il cuore è particolarmente ricco di mitocondri non sorprende che molti studi che valutano gli effetti dell’integrazione con CoQ10 si concentrino proprio sulle patologie cardiache. In particolare, pazienti con insufficienza cardiaca da moderata a grave, già in trattamento con terapia farmacologica, ma che hanno anche ricevuto CoQ10 300 mg/die per due anni, hanno mostrato una riduzione significativa dei maggiori eventi avversi di tipo cardiaco, della mortalità per cause cardiovascolari e della mortalità in generale. Questi dati sono stati poi confermati anche in recenti metanalisi, anche se una maggior variabilità si osserva sul dato della frazione di eiezione del ventricolo sinistro che non sempre appare significativamente migliorato.

Evidenze sull’infarto del miocardio?

Un recente studio clinico randomizzato ha messo in luce come un dosaggio di 120 mg/die di CoQ10 somministrato precocemente subito dopo l’evento infartuale e per un periodo di 6 mesi, può proteggere il cuore e limitare il processo di rimodellamento del ventricolo sinistro che influisce negativamente dapprima sulla forma e sulla struttura, e poi sulla funzionalità e sulla capacità di ripresa del cuore infartuato.

Si conferma fattore protettivo rispetto agli effetti collaterali delle statine?

Sebbene non si osservino riduzioni dei livelli plasmatici di creatinkinasi, parametro ematochimico mediante il quale si valuta il danno muscolare da statine, i dati derivanti da diversi studi clinici mettono in luce come i pazienti in terapia con le statine che assumono dosaggi di CoQ10 200mg/die riferiscano un miglioramento dei sintomi come riduzione di dolore e debolezza muscolare, crampi e stanchezza muscolare. Pertanto, non si esclude che tale impatto positivo possa essere dovuto alla riconosciuta capacità del CoQ10 di determinare un effetto positivo sulla percezione della fatica osservato in pazienti obesi e in pazienti affetti da fibromialgia, e non sia strettamente correlato con i meccanismi molecolari che portano alla miopatia indotta da statine.

Quali sono i dosaggi e le formulazioni da consigliare?

Il CoQ10 si ritrova in diversi alimenti quali pesci come salmone, sardine e tonno o in vegetali quali soia, spinaci e noccioline, tuttavia l’apporto reale attraverso la dieta è relativamente scarso e nella maggior parte dei casi rischia di essere trascurabile. D’altra parte, l’integrazione di CoQ10 ha dimostrato notevole sicurezza anche in seguito a esposizione cronica a dosaggi elevati come 900mg/die. Va infatti considerato che il CoQ10 è scarsamente assorbito nel tratto gastrointestinale e certamente gli integratori in commercio, devono tener conto della necessità di incrementare la biodisponibilità attraverso strategie formulative come l’uso di liposomi, nanoemulsioni, micelle o più di recente, l’aggiunta di betaciclodestrine che ha permesso l’ottenimento di formulazioni acquose come per esempio gli sciroppi. A causa di questa scarsa biodisponibilità, le evidenze cliniche suggeriscono che per ottenere i benefici descritti a livello cardiovascolare, siano necessari dosaggi elevati, ≥ 200mg/die, in formulazioni che ne incrementino la biodisponibilità, come quelle sopra descritte.

Nicola Miglino

 

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