Gli integratori non sono farmaci e necessitano di regole specifiche, non ereditate da altri ambiti che possono portare a conclusioni fuorvianti. Potremmo riassumere così la posizione di Germano Scarpa, presidente di Integratori&Salute, l’associazione in seno a Confindustria che rappresenta le aziende del comparto, a commento dell’inchiesta pubblicata da Il Salvagente che, testando 15 prodotti in commercio a base di riso rosso fermentato, ha posto il problema della disaggregazione delle comprese, del contenuto in monacolina K e degli ingredienti potenzialmente dannosi per la salute.

Lo studio, realizzato e condotto da Fabiana Quaglia del dipartimento di Scienze farmaceutiche dell’Università di Napoli Federico II, ha dapprima messo in evidenza le anomalie nella disaggregazione di compresse “sedicenti” gastro-resistenti, evidenziandone un profilo di disaggregazione in qualche caso nullo, mentre nella seconda parte ha analizzato diversi integratori contenenti monacolina K sotto forma di Riso rosso fermentato (Ryr) sia dal punto di vista del loro reale contenuto proprio in monacolina K che del loro tempo di disaggregazione.

Pubblichiamo di seguito, il commento di Arrigo Cicero, presidente Società italiana di nutraceutica (Sinut), ai dati pubblicati da Il Salvagente su disaggregazione delle comprese e contenuto in monacolina K di 15 integratori in commercio a base di riso rosso fermentato.

Quello della mancata disgregazione è sicuramente un problema importante, già rilevato in passato. Tuttavia, i modelli in vitro possono fornire una stima di quanto succede nel tratto gastrointestinale umano, ma non rappresentano la verità assoluta. Infatti, la motilità gastrica è influenzata da mille fattori che vanno dall'età anagrafica al grado di attività fisica (nonché dalla distanza dell'assunzione della compressa dall'attività fisica stessa), dall'emotività alla presenza di cibo o meno nello stomaco, della salute dello stomaco e del sistema nervoso periferico, e così via.

Peraltro, anche l'acidità varia in funzione dell'emotività, dello stress, dell'abitudine tabagica, dell'assunzione di diversi tipi di cibo, dall'assunzione di antiacidi, di liquerizia.

Nel caso di integratori finalizzati al mantenimento di valori ottimali di colesterolo nel sangue (dato che non si possono definire ipocolesterolemizzanti) la questione della disgregazione o meno delle compresse in vitro è parzialmente bypassata dalla constatazione che il prodotto svolga la funzione desiderata o meno.

Il ministero della Salute, giustamente, coglie l'occasione per auspicare che le aziende siano più attente alla qualità formulativa e quindi più o meno esplicitamente le sprona a condurre più test.

Auspicabilmente, questo aprirà alla possibilità che il Ministero sproni anche le aziende a verificare che l'effetto atteso nel consumatore sia reale, ovvero che in studi clinici un prodotto che dovrebbe modulare i livelli di colesterolemia nel sangue li moduli davvero.

Questo, in automatico, eviterebbe, da un lato, problemi di interpretazione legati a test in vitro, la cui rigidità non è compatibile con la variabilità umana e, dall'altro, determinerebbe una selezione qualitativa degli integratori sul mercato, perché solo le aziende più serie e strutturate investirebbero in test clinici o utilizzerebbero materie prime testate clinicamente. Ed eviteremmo situazioni dove un prodotto gastroprotetto, con effetto dimostrato in più studi condotti nell'uomo, venga accusato di non disciogliersi nello stomaco...

Arrigo Cicero, presidente Società italiana di nutraceutica (Sinut)

Era l’estate scorsa quando la rivista Il Salvagente pubblicò i dati di alcune analisi effettuate da Fabiana Quaglia, docente di Tecnologia farmaceutica all’Università Federico II di Napoli, che denunciavano il rischio, per alcuni integratori in commercio, di contenere formulazioni, in particolare compresse, che non disaggregavano nell’intestino e che venivano eliminate tal quali dall’organismo. Ora, una nuova puntata dell’inchiesta, che ha indotto il ministero della Salute a emanare una circolare in cui invita gli operatori a una maggiore attenzione, consapevole, d’altro canto, che il test di disaggregazione presente nella Farmacopea Ufficiale è applicabile al campo farmaceutico e non a quello alimentare.

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