Perclorato nei cibi: avvertenze e rischi per la tiroide da una review italiana

14 Luglio 2020

Una review da poco pubblicata su Nutrients fa il punto rispetto al rischio per la tiroide rappresentato dal perclorato, il cui impiego in fertilizzanti naturali o la cui presenza in acque irrigue contaminate possono portare a un notevole accumulo della sostanza nei vegetali a foglia. Ne abbiamo parlato con due degli Autori: Vincenzo Triggiani, Professore Associato di Endocrinologia all’Università degli studi di Bari e Giuseppe Lisco, dirigente medico presso Asl Brindisi, Ospedale Perrino, Uo Endocrinologia e malattie del metabolismo e cultore della materia in Endocrinologia presso l'Università degli studi di Bari.

Prof. Triggiani, quali sono i principali interferenti endocrini della funzione tiroidea?

Rientrano nella categoria sostanze chimiche di origine industriale come bisfenoli, ftalati, composti alogenati, taluni pesticidi e fitochimici. In particolare, bisfenoli e ftalati sono stati largamente utilizzati nella lavorazione di plastiche per via della loro capacità di aumentarne elasticità e maneggevolezza. Queste molecole, pertanto, sono presenti in numerosi prodotti di uso comune come bottiglie di plastica, contenitori per alimenti, carta termica, giocattoli, elettrodomestici, e possono essere liberate dal materiale in cui sono contenute e diffondere nell’ambiente circostante. L’incauto smaltimento di materiali plastici nel corso del tempo ha comportato una larga dispersione ambientale di ftalati e bisfenoli. Studi osservazionali hanno confermato la presenza di tali sostanze in aria, acque, polveri presenti nell’ambiente domestico.

Quali sono i meccanismi di interazione coinvolti?

I principali sono rappresentati da: inibizione della captazione di iodio, per esempio da parte di composti alogenati come i perclorati; inibizione della tireoperossidasi, enzima chiave nella sintesi degli ormoni tiroidei, da parte di alcuni pesticidi; inibizione dell’attività desiodasica da parte di pesticidi e composti polibrominati; competizione con le proteine plasmatiche trasportatrici degli ormoni tiroidei; aumentato catabolismo degli ormoni tiroidei a livello del fegato; inibizione del rilascio di ormoni tiroidei da parte delle cellule follicolari della tiroide.

Dr. Lisco, nella vostra review vi siete concentrati sul perclorato: in quali cibi è più facilmente rintracciabile e come mai?

La coltivazione di prodotti in terreni ricchi in perclorati così come l’uso di acque di irrigazione e di fertilizzanti che contengono queste sostanze, determina una significativa contaminazione di frutta e verdura, fatto che emerge inequivocabilmente analizzando prodotti provenienti da aree geografiche contaminate. La misurazione delle concentrazioni di perclorati negli alimenti ha messo in evidenza che i prodotti di origine vegetale maggiormente contaminati da perclorati sono rappresentati da: meloni, angurie, uva da tavola, albicocche, lattuga, pomodori, peperoni, lamponi, asparagi.  Inoltre, elevati livelli di perclorati possono essere riscontrati in differenti varietà di tè e infusi di erbe. Un consumo eccessivo di tali prodotti, pertanto, può causare una sovraesposizione cronica ai perclorati.

Che effetti esercita sulla tiroide?

I perclorati presentano caratteristiche simili a quelle degli ioduri essendo composti alogenati. Una volta ingerito, il perclorato raggiunge la mucosa intestinale dove viene assorbito attraverso lo stesso canale ionico utilizzato dall’organismo per assorbire lo iodio, ovvero lo scambiatore sodio-ioduro. Allo stesso modo, il perclorato compete con lo ioduro per l’assorbimento a livello tiroideo dove normalmente si accumula la stragrande maggioranza dello iodio assunto con la dieta. L’affinità dei perclorati per lo scambiatore sodio-ioduro a livello tiroideo è circa 20 volte maggiore rispetto a quella degli ioduri, per cui l’esposizione cronica anche a basse concentrazioni di perclorati potrebbe progressivamente depauperare le riserve intra-tiroidee di iodio e causare ipotiroidismo.

Che relazione esiste tra livelli di perclorato circolanti e ipotiroidismo?

Il perclorato di potassio è stato adoperato in passato nel trattamento di alcune forme di ipertiroidismo proprio per la sua efficace capacità di ostacolare l’assorbimento di iodio a livello tiroideo e, quindi, di inibire indirettamente la sintesi degli ormoni tiroidei. Tuttavia, per indurre tale effetto, sono necessarie dosi estremamente elevate di perclorato di potassio, pari a 600-800 mg/die, centinaia di volte superiori rispetto alla quantità di perclorati mediamente assunta con la dieta. I risultati di due studi osservazionali prospettici condotti per sole 2 settimane hanno confermato quanto detto, mettendo in evidenza che l’esposizione per brevi periodi di tempo ai sali di perclorato nella misura di 0,5-3 mg giornalieri non è sufficiente a determinare alcuna alterazione significativa della funzione tiroidea, mentre una esposizione a dosaggi più elevati, tra 10 e 30 mg giornalieri, riduce la captazione tiroidea di iodio anche senza causare significative alterazioni della sintesi ormonale. Studi trasversali o retrospettivi, hanno invece messo in evidenza una correlazione inversa tra livelli di esposizione ai perclorati e indici di funzionalità tiroidea quali Tsh, fT4, fT3. Si tratta di studi condotti per lo più in donne in gravidanza, dal momento che in questa fase della vita di una donna l’integrità della funzione tiroidea è essenziale per limitare il rischio di effetti avversi fetali e neonatali, specialmente sotto il profilo cognitivo-comportamentale.

Cosa ci dicono questi studi?

In sintesi, che una esposizione acuta anche ad elevate concentrazioni di perclorati non è sufficiente a causare alterazioni significative della funzione tiroidea in persone sane. Al contrario, un’esposizione cronica ai perclorati, anche a basso dosaggio, potrebbe ridurre l’efficienza della biosintesi ormonale tiroidea con conseguenze potenzialmente pericolose in determinati momenti della vita, come durante l’accrescimento fetale, l’infanzia o l’adolescenza e per pazienti con fattori predisponenti come alcune patologie tiroidee, dalla tiroidite all’ipotiroidismo, in caso di carenza di iodio, nei fumatori che sono esposti ai tiocianati presenti nel fumo di sigaretta e che hanno azione sinergica rispetto ai perclorati e in individui che consumano elevate quantità di alimenti di origine vegetale.

Prof. Triggiani, c’è il rischio di altri interferenti endocrini presenti nel cibo?

Le plastiche, largamente adoperate nella fabbricazione di contenitori per bevande e cibi sono da ritenersi certamente un veicolo di interferenti endocrini, in particolare bisfenoli e ftalati. Come detto, tali sostanze sono volatili e il contatto dell’alimento con la superficie interna del suo contenitore può determinarne la diffusione e il passaggio nell’alimento stesso. In Italia, il consumo di bevande in contenitori usa e getta è tra i più elevati in Europa, pertanto una buona parte della popolazione è esposta cronicamente a questo tipo di contaminazione. In aggiunta, alcuni studi hanno evidenziato che variabili fisico-chimiche possono accentuare il passaggio di interferenti endocrini dai contenitori agli alimenti in essi contenuti. Si pensi, per esempio, che la velocità di diffusione di questi interferenti endocrini dalla superficie di un bicchiere in plastica quando viene versato al suo interno una bevanda calda aumenta considerevolmente, tanto da determinare un incremento di circa 5 volte della concentrazione finale di ftalati e bisfenoli nella bevanda consumata. Gli effetti possono essere ancora più significativi se l’alimento caldo viene travasato in contenitori in plastica non termo-resistenti.

Esistono cibi più a rischio per questi contaminanti?

Considerato che bisfenoli e ftalati hanno natura lipofila, il passaggio dal contenitore all’alimento è accentuato per cibi a più elevato contenuto di grassi, come per esempio formaggi, panna, latticini, salumi. La contaminazione di ecosistemi da parte di agenti tossici come le diossine, liberate dalla combustione di rifiuti, e metalli pesanti ha determinato nel tempo una significativa contaminazione di numerose specie viventi. La catena alimentare, attraverso un fenomeno noto come bioaccumulo, determina una marcata concentrazione di sostanze tossiche all’interno di specie animali di grossa taglia e, quindi, un elevato consumo di pesce e carne potrebbe contribuire a una sovraesposizione dell’uomo a queste sostanze tossiche.

Quali sono, dunque, i rischi per la popolazione?

Relativamente al consumo di alimenti ricchi in perclorati, è utile che la popolazione venga a conoscenza dei rischi interconnessi, limitando o contenendo il consumo di quei cibi che possono essere più facilmente contaminati. L’Unione europea ha individuato, in accordo con le evidenze scientifiche attualmente disponibili sull’argomento, un limite di esposizione giornaliera ai perclorati di 0,3 mcg/Kg di peso corporeo, limite che solitamente non viene superato. Tuttavia, uno studio austriaco recentemente pubblicato ha evidenziato che un consumo eccedente la media di prodotti di origine vegetale potrebbe indurre una sovraesposizione cronica ai perclorati con conseguenze a livello tiroideo potenzialmente dannose.

Cosa suggerire in termini di profilassi?

Come detto, alcune categorie di pazienti potrebbero essere esposte a tale rischio e proprio in questi casi andrebbero effettuati degli studi osservazionali per verificare potenziali effetti avversi nel breve, ma soprattutto nel lungo termine, al fine di testare strategie efficaci di prevenzione. Fondamentale è sicuramente la iodo-profilassi estesa all’intera popolazione mediante l’utilizzo di prodotti alimentari addizionati in iodio, in primis il sale iodato, ricorrendo alla prescrizione di nutraceutici a base di iodio nei casi in cui si renda necessario il trattamento e la prevenzione di uno stato carenziale, per esempio in gravidanza. In ambito agro-alimentare potrebbe essere consigliabile l’utilizzo di fertilizzanti non contenenti perclorati e di metodi che abbattano i livelli di perclorati nei sistemi di coltura mediante l’utilizzo di strumenti di estrazione dei perclorati da terreni di coltura e acque di irrigazione, quali, per esempio, scambiatori ionici, bio-degradazione batterica, microfiltrazione accoppiata a elettrodialisi.

Nicola Miglino

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