Un mare di plastica nella catena alimentare: grido di aiuto dalle acque incontaminate dell’Australia

04 Maggio 2022

È allarme microplastiche anche nei mari una volta incontaminati dell’Oceano australe e della costa meridionale dell’Australia. La denuncia arriva da uno studio della Flinders University pubblicato su Science of the total environment che ha riscontrato presenza di residui plastici non soltanto nelle acque, ma già nella fauna marina, con pericolo conseguente per l’ingresso di quest’ultima nella catena alimentare.

Il team di ricerca ha effettuato diversi campionamenti nell’area di dieci tra le più famose spiagge dell'Australia meridionale, da Coffin Bay a Port Lincoln, da Point Lowly e Whyalla sul Golfo di Spencer, alle famose spiagge metropolitane di Adelaide insieme a Victor Harbor, Robe e Kangaroo Island. 

“Abbiamo riscontrato livelli medio-bassi di microplastiche di dimensioni inferiori a 5 mm nelle cozze, un vero e proprio filtro utile per analizzare i principali tipi di inquinamento che interessano l'ambiente”, dice Karen Burke da Silva, prima firma dello studio. “Microplastiche sono ovunque nel nostro ambiente marino e tendono a essere più abbondanti nei campioni vicino ai centri più popolati”.

Le tipologie di plastiche rinvenute includono poliammide, polietilene, polipropilene, resina acrilica e polietilentereftalato, che suggeriscono un’origine da particelle sintetiche e semisintetiche di oggetti monouso, prodotti a ciclo di vita breve, tessuti, corde per la pesca.

Così commenta Enzo Spisni, direttore del dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali dell’Università Alma Mater di Bologna: “Il mare è diventato un mare di microplastiche. Si stima che oggi la massa delle microplastiche nel mare sia una decina di volte superiore a quella dello zooplancton. Piccole come il plancton, con odori chimici simili, vengono mangiate dagli animali marini planctonici entrando nella rete alimentare marina. Infestano l’intestino e le branchie dei molluschi, dei crostacei e dei piccoli pesci. In questi animali le microplastiche possono causare soffocamento o blocchi intestinali, ma anche bloccarne la crescita e ridurne il successo riproduttivo. In molti casi gli animali contaminati cambiano comportamento, forse perché non stanno bene, escono dai banchi e vengono predati più facilmente, contaminando i predatori più grandi. Alla fine, siccome il pesce, poi, lo peschiamo e lo mangiamo noi, le microplastiche arrivano abbondanti nel nostro piatto. Si stima che ognuno di noi mangi l’equivalente di una carta di credito a settimana. Con quali effetti? Sappiamo per certo che queste nell’intestino alterano il nostro microbiota esponendoci a infiammazione e alla sindrome dell’intestino gocciolante. Poi sappiamo che le nanoplastiche determinano infiammazione in vari tipi cellulari, neuroni inclusi e riescono a raggiungere il cervello, alterando memoria e capacità cognitive e causando anche neurodegenerazione. Anche il nostro apparato riproduttivo sembra essere attaccato da micro e nanoplastiche. Insomma, sappiamo che siamo circondati da un mare di micro e nanoplastiche, sappiamo che le mangiamo, le beviamo, le respiriamo e quindi è normale che si ritrovino nel sangue di soggetti sani. Stiamo mettendo a rischio la nostra salute e quella degli altri animali su questo pianeta a causa del mare di plastica che abbiamo sparso nel mondo. Però, di ridurne la produzione per legge, o di tassarla e renderla economicamente non più conveniente, non si ha ancora il coraggio di parlarne”.

Nicola Miglino

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