Un concentrato di salute in un unico agrume, arricchito con antocianine e licopene, due tra i composti antiossidanti bioattivi più importanti per la salute umana, in grado di proteggere danumerose patologie, dalle cardiovascolari alle tumorali, dall’obesità al Parkinson. Questo l’importante risultato conseguito dal Crea, con il suo centro di Olivicoltura, frutticoltura e agrumicoltura (Ofa), pubblicato sulla rivista internazionale Frontiers in plant science.
Un lavoro recentemente pubblicato sulla rivista Nutrients ha fatto il punto sugli studi di intervento dietetico registrati che hanno preso in esame la relazione tra il consumo di carotenoidi e i loro effetti sulla salute. Ne parliamo con due degli autori del lavoro, Mirko Marino e Daniela Martini, del dipartimento di Scienze per gli alimenti, la nutrizione e l’ambiente dell’Università degli studi di Milano.
D.ssa Martini, perché un focus sui carotenoidi?
Si tratta di composti bioattivi ampiamente diffusi nella nostra dieta, soprattutto negli alimenti di origine vegetale. Pur non essendo considerati come nutrienti in senso stretto, sono ampiamente studiati per il loro potenziale effetto sullo stato di salute, così come altri composti bioattivi tra cui i polifenoli e i glucosinolati. Questo lavoro rappresenta il terzo pubblicato con l’obiettivo di valutare l’evoluzione e il progresso della ricerca scientifica relativa allo studio di questi composti. Ne sono, infatti, già stati pubblicati due focalizzati su polifenoli e glucosinolati nei quali si analizzate le caratteristiche degli studi di intervento registrati e condotti utilizzando questi composti. In quest’ultimo lavoro, invece, ci siamo focalizzati sui carotenoidi che rappresentano composti di interesse trasversale in diversi ambiti di ricerca.
Che tipo di ricerca avete condotto?
Si tratta di un approccio innovativo, perché abbiamo raccolto gli studi da ClinicalTrials.gov, uno dei database nei quali vengono registrati gli studi di intervento prima di essere condotti. La registrazione dei trial sui database rappresenta una pratica sempre più diffusa, ormai richiesta anche da numerose riviste scientifiche, che garantisce la trasparenza, ma anche la promozione delle sperimentazioni cliniche. L’analisi dei lavori registrati su questi database non consente di raccogliere i risultati degli studi, ma ha il vantaggio di fornire informazioni sulla tipologia di ricerca condotta e per la quale, a volte, non è ancora disponibile la pubblicazione. In sostanza si tratta di un metodo finalizzato a comprendere verso quali ambiti di interesse la ricerca scientifica si sta orientando.
Dr. Marino, quali carotenoidi risultano tra i più studiati?
La nostra ricerca ha portato alla revisione di 193 studi di intervento registrati e riguardanti i carotenoidi. Tra questi, 83 sono stati condotti con alimenti, 105 con supplementi e 5 con entrambi. Tra i primi, gli alimenti più studiati sono stati sicuramente i prodotti a base di pomodoro, seguiti da uova e mais. Tra i supplementi, invece, la maggior parte degli studi sono stati condotti testando specifici carotenoidi come la luteina, ma anche il licopene e il beta-carotene. Un altro carotenoide molto studiato è l’astaxantina, un composto presente anche in alimenti di origine animale come crostacei e alcuni pesci, in particolare il salmone.
Quali sono, invece, le tematiche di ricerca maggiormente oggetto di studi?
Gli studi analizzati sono in larga parte focalizzati sulla valutazione della biodisponibilità dei carotenoidi da alimenti e supplementi, con ben 52 ricerche che hanno valutato questo aspetto, delle quali 33 da alimenti, 16 da supplementi e 3 da entrambi. Per quanto riguarda, invece, l’effetto sulla salute, molti studi hanno valutato, o stanno valutando, soprattutto il potenziale ruolo dei carotenoidi in prevenzione e/o trattamento delle malattie oculari e nella riduzione del rischio di diabete e malattie cardiovascolari. I risultati principali riguardano principalmente l’effetto dei carotenoidi su marcatori di funzione endoteliale o vascolare, e marcatori di stato antiossidante o stress ossidativo.
Quali sono gli ambiti di studio più promettenti?
Negli ultimi anni, la direzione della ricerca scientifica sui carotenoidi sembra essere focalizzata non solo sugli aspetti correlati alla salute della vista, ma anche su due nuovi ambiti quali il sistema cognitivo e il microbiota intestinale. In particolare, diversi trial clinici sono attualmente in corso al fine di valutare l’effetto di questi composti bioattivi sulla capacità di migliorare la funzione cognitiva. Per esempio, recenti studi hanno testato l’effetto di uova arricchite in luteina e zeaxantina su parametri cognitivi quali la funzione esecutiva e la misura dell’attenzione, ricerca svolta sia in soggetti anziani che in giovani adulti e adolescenti. Per quanto riguarda il microbiota, i risultati derivanti da studi osservazionali hanno riportato un’associazione positiva tra le concentrazioni plasmatiche di carotenoidi, espressi come carotenoidi totali o come singoli, e una maggiore biodiversità del microbiota intestinale, considerato come un indicatore di intestino in salute. Pertanto, tali risultati sembrano suggerire una possibile relazione tra carotenoidi e specie microbiche. Tuttavia, gli studi di intervento sono a oggi ancora pochi e, come sottolineato da una revisione recente che ha cercato di riassumere i risultati principali di alcuni studi di intervento corroborando in parte questa associazione, i dati a oggi disponibili sono insufficienti per poter trarne delle solide conclusioni. Per questo motivo, gli studi attualmente in corso potranno contribuire a chiarire meglio il ruolo di questi componenti della nostra dieta sullo stato di salute.
Nicola Miglino
Tè verde, pomodoro cotto, frutti rossi, uva e melagrana. Questi gli alimenti che possono davvero fare la differenza nella prevenzione del tumore alla prostata, secondo quanto ribadito al recente congresso della Società italiana di andrologia (Sia) tenutosi a Roma.
Utilizzare un integratore a base di licopene per ridurre la tossicità di farmaci antitumorali. L’ipotesi trova conferma in uno studio clinico italiano condotto su pazienti con carcinoma metastatico del colon-retto trattati con inibitori dell’Epidermal growth factor receptor (Egfr), da poco pubblicato sul Journal of funcional foods. Ne abbiamo parlato con Mauro Moroni, direttore della divisione di Oncologia all’Ospedale San Carlo Borromeo di Milano e prima firma della ricerca, resa possibile grazie alla collaborazione e al supporto dell'Associazione oncologica milanese - AmolavitaOnlus, dal 1980 presente e attiva all'interno della struttura ospedaliera.
Dr. Moroni, che cosa sono gli anti-Egfr e che uso se ne fa in oncologia?
L’Epidermal growth factor receptor - Egfr - è un recettore presente a livello della membrana cellulare, la cui attivazione è in grado di regolare la proliferazione, la differenziazione e la sopravvivenza della cellula. Sebbene presente anche su cellule normali, tale recettore è frequentemente iper-espresso a livello delle cellule tumorali, rappresentando un meccanismo fondamentale per la crescita di molte neoplasie. Negli ultimi venti anni sono stati sviluppati numerosi farmaci in grado di interferire con il meccanismo d’attivazione cellulare mediato da Egfr, sia a livello della parte esterna del recettore, sia a livello del sito tirosin-chinasico più interno, in grado di inibire, in entrambi i casi, il segnale d’attivazione cellulare. Tali farmaci sono diffusamente utilizzati per il trattamento di pazienti affetti da carcinoma del colon retto, carcinoma polmonare e carcinoma della testa e collo che esprimano Egfr e che abbiano un profilo biomolecolare che evidenzi una funzione centrale della via d’attivazione di Egfr nella crescita della neoplasia.
Che tipo di effetti collaterali possono determinare tali farmaci?
Caratteristica dei farmaci aventi come target Egfr è la tossicità cutaneo/mucosa che, sul piano clinico, si manifesta con eritema, rash papulo-pustoloso, secchezza cutanea, alterazione della crescita pilifera, prurito, alterazioni ungueali e, meno frequentemente, iperpigmentazione, tricomegalia e mucositi. L’inibizione di Egfr porta alla produzione di sostanze ossidanti tramite la produzione di citochine proinfiammatorie. L’espressione di Egfr a livello dell’epidermide fa sì che tale inibizione causi delle vistose e fastidiose reazioni infiammatorie. Tale tossicità gioca un ruolo fondamentale sulla qualità della vita del paziente, ed è frequentemente di entità tale da influire con il benessere fisico, psicologico e sociale del singolo, portando talvolta alla sospensione o a una riduzione di dose del farmaco.
Perché avete pensato al licopene come possibile rimedio agli effetti sulla pelle?
Come frequentemente succede, l’idea ha avuto origine da un’osservazione del tutto casuale. Un paziente molto attento ai possibili effetti benefici di alcuni nutrienti per il benessere dell’organismo, ci chiese se l’assunzione di licopene fosse compatibile con il trattamento allora in atto con farmaco anti-Egfr. Dopo 15 giorni circa dall’inizio del trattamento, ci riferì che non aveva idea se il licopene potesse avere efficacia nella lotta alla neoplasia, ma che certamente da qualche giorno riusciva a radersi con maggiore facilità, essendosi ridotta la tossicità cutanea a livello del viso. Il licopene possiede infatti un’attività antiossidante eccezionale, in virtù della sua struttura alchilica e del numero dei doppi legami coniugati all’interno della sua molecola. Essendo poi una sostanza lipofila, è in grado di accumularsi in grande concentrazione a livello di tessuti a elevato contenuto di lipidi come la cute.
Che tipo di studio avete condotto?
Si tratta di uno studio pilota su 28 pazienti affetti da carcinoma del colon-retto metastatico, trattati con l’anticorpo monoclonale anti-Egfr panitumumab. I pazienti sono stati distribuiti random e in doppio cieco in un braccio di trattamento con licopene o in uno di trattamento con placebo. È stata somministrata una formulazione di licopene coniugato a proteine del siero, lactolicopene, per aumentarne l’assorbimento intestinale, o un placebo contenente le stesse proteine, a partire dal giorno precedente l’inizio del primo ciclo di terapia con panitumumab e per tutta la durata del trattamento oncologico.
Che risultati avete potuto osservare?
Solo 3 pazienti su 13 nel gruppo licopene hanno sviluppato una tossicità cutanea di grado medio-severo, nel corso di 8 dei 64 cicli somministrati, laddove, nel gruppo placebo, tale tossicità si è manifestata in 10 dei 15 pazienti trattati, in 36 dei 92 cicli di panitumumab, con una riduzione assoluta quindi della tossicità cutanea medio-severa nel 41% dei pazienti e nel 46% dei cicli somministrati nel gruppo licopene rispetto al gruppo placebo. Il tempo di comparsa di una tossicità cutanea di intensità medio-severa rispetto all’inizio del trattamento è stato significativamente molto più lungo nel gruppo licopene rispetto al gruppo placebo. Nel gruppo placebo, la somministrazione di panitumumab è stata ritardata di una settimana, rispetto alla schedula prestabilita, in 4 dei 15 pazienti e in 6 dei 92 cicli somministrati in totale, a causa della tossicità cutanea. Nessun ritardo nella somministrazione del trattamento con panitumumab è stato necessario nel gruppo licopene.
Avete anche condotto analisi su marker ossidativi?
Abbiamo analizzato il contenuto plasmatico di licopene e di b-carotene, altra molecola con notevole attività antiossidante, in tempi differenti del trattamento con panitumumab nei due gruppi, insieme al contenuto plasmatico di malondialdeide, molecola che si forma nel corso della perossidazione degli acidi grassi poliinsaturi e che viene utilizzata come biomarcatore in grado di misurare la perossidazione lipidica nell’organismo. Nel gruppo placebo il trattamento con panitumumab si è dimostrato in grado di ridurre grandemente le concentrazioni di licopene e b-carotene nel plasma rispetto ai valori pre-trattamento, con un contemporaneo netto aumento della malondialdeide, a testimonianza degli intensi fenomeni ossidativi scatenati dalla terapia. La somministrazione di lactolicopene è stata in grado di aumentare la concentrazione plasmatica di licopene, di rendere meno vistoso il calo di altri antiossidanti come il b-carotene e, soprattutto, di ridurre grandemente la produzione di malondialdeide rispetto ai valori pre-trattamento, a testimonianza di una sua efficacia nel proteggere l’organismo dallo stress ossidativo e dal consumo di antiossidanti indotti dal trattamento con panitumumab.
A quali conclusioni siete giunti?
Nonostante i limiti di questo studio, soprattutto riguardanti il numero di pazienti arruolati, riteniamo che i nostri resultati abbiano chiaramente dimostrato l’efficacia del licopene nel ridurre la tossicità cutanea e lo stress ossidativo indotti dal trattamento con panitumumab.
Possibile pensare, dunque, a una sorta di estratto/integratore che possa aiutare i pazienti a superare i problemi di tossicità in corso di terapia?
Considerando l’assenza di effetti collaterali correlati all’assunzione del licopene, se si esclude la possibile intolleranza o allergia al pomodoro, essendo il licopene un composto nutraceutico piuttosto che un farmaco, riteniamo che possa essere già utilizzato nella pratica clinica nel tentativo di ridurre la tossicità cutanea da farmaci anti-Egfr, cercando delle formulazioni, come nel caso del lactolicopene, o delle modalità di assunzione, per esempio immediatamente dopo i pasti, che ne permettano il miglior assorbimento a livello intestinale. È stato nel frattempo già disegnato e in attesa di approvazione e completo finanziamento, uno studio che, arruolando un più largo numero di pazienti, sia in grado di verificare il reale impatto dell’utilizzo di un integratore contenente lactolicopene nella pratica clinica e come meglio integrare il suo utilizzo con la somministrazione di antibiotici del gruppo delle tetracicline che, per il momento, risulta essere il rimedio più frequentemente utilizzato nel ridurre la tossicità cutanea indotta da farmaci anti-Egfr.
Nicola Miglino