Dai pediatri italiani documento di indirizzo su alimentazione complementare

07 Settembre 2021

Presentato la scorsa fine di luglio dalla Società italiana di pediatria preventiva e sociale (Sipps) un documento di indirizzo sull’alimentazione complementare, definizione con la quale si dovrebbe indicare lo svezzamento secondo l’Organizzazione mondiale della sanità. Elaborato con la metodologia più validata a livello internazionale, seguendo tutte le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità e del ministero della Salute sulla stesura delle raccomandazioni, il documento va a colmare un vuoto nel panorama delle pubblicazioni scientifiche italiane dedicate ai bambini.

“Innanzitutto è necessario ricordare che l’alimentazione complementare va differenziata se il bambino è allattato al seno o con formula”, dice Margherita Caroli, pediatra di lunga esperienza ed esperta di nutrizione per la Sipps. “Per esempio, nel caso di bambini allattati al seno, bisogna iniziare con le proteine: bastano 10 grammi al giorno di carne o di pesce. Per i bambini allattati con formula questa supplementazione non è necessaria, dato che il latte in formula ha un carico proteico e di ferro superiore a quello materno, mentre occorre dare alimenti dai sapori diversi, cambiando molto, partendo da frutta e verdura. Questo perché i bambini allattati con formula sono abituati a un unico sapore, mentre quelli allattati al seno sentono sapori diversi in base a quello che ha mangiato la mamma. In un certo senso, lo svezzamento del bambino allattato al seno è più facile”.

Tra i vari aspetti presi in esame dal documento, quello delle diseguaglianze sociali che, secondo Caroli, rischiano di pregiudicare la salute futura del bambino. “Per esempio, le donne sole, con un lavoro poco qualificato, una situazione economica precaria e un livello socio-culturale più basso, allattano meno, danno più latte in formula e meno latte materno, tendono a svezzare prima i figli, rispetto a donne più acculturate e con una situazione economica più stabile”, dice la pediatra. “Bisogna dunque porre maggiore attenzione a queste famiglie che devono essere protette più di altre”.

Altro tema affrontato è quello del baby food marketing.

“Seguendo una legge europea” - illustra la pediatra, consulente Oms, “le aziende possono indicare i quattro mesi come età minima a partire dalla quale i loro alimenti sono adeguati. In realtà, l’Oms dice che si deve partire a sei mesi e ci sono moltissimi documenti che dimostrano come la somministrazione di alimenti solidi prima di quell’età sia inutile se non dannosa. Così, la Commissione europea ha chiesto all’Efsa di emettere un parere sull’età in cui si può iniziare a somministrare cibi solidi, con l’obiettivo di arrivare a variare questa indicazione sulle confezioni di baby food, obbligando le aziende a scrivere dal sesto mese compiuto. L’Efsa ha espresso il proprio parere sostenendo che la somministrazione di alimenti solidi prima dei sei mesi non crea problemi, ma non porta neanche vantaggi, per cui non esiste alcun motivo per dare alimenti diversi dal latte prima dei sei mesi”.

Infine, alcune indicazioni di educazione alimentare ai più piccoli, utili a guidarne i gusti verso sapori meno abituali ma legati a cibi salutari

A mangiare si impara come si imparano le tabelline, cioè ripetendo la stessa cosa più volte, in tempi ravvicinati, con atteggiamento positivo”, sottolinea Caroli. “I genitori non devono andare in crisi se il bambino si rifiuta di assaggiare un alimento o se, una volta assaggiato, ne mangia poco. Così come non si impara una tabellina al primo colpo, allo stesso modo non si può apprezzare un alimento somministrato una sola volta. Noi siamo geneticamente programmati per apprezzare maggiormente i cibi grassi e dolci. Bisogna dunque avere pazienza e stimolare il bambino ad apprezzare anche i sapori più amari o più acidi o quelli delle verdure. Allo stesso modo, è bene sapere che l’ipoglicemia delle fasi iniziali della fame è quella che stimola le papille gustative e le rende più predisposte a nuovi sapori. Partendo da questa informazione, bisogna imparare a proporre ‘a prima fame’ e non demordere”.

Cosa fare, invece, quando gli stessi alimenti mangiati volentieri alla mensa dell’asilo o della scuola, vengono rifiutati a casa?  “I genitori devono essere un muro di protezione e di sostegno per i bambini, un muro che non deve sgretolarsi al loro primo no”, conclude la pediatra.

Nicola Miglino

 

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