Tumori del sangue, Omega-3 in aiuto alle cure. La ricerca avanza

29 Settembre 2021

L’impiego di acidi grassi Omega-3 a supporto delle terapie anti-cancro, in particolare in ambito ematologico, comincia ad assumere un razionale scientifico consistente, al punto che un gruppo di ricercatori, guidati da Laura Di Renzo, direttrice della Scuola di specializzazione in Scienza dell’alimentazione all’Università di Roma Tor Vergata, ha deciso di raccogliere i dati oggi disponibili in letteratura in una mini review pubblicata di recente su Nutrition and cancer.

P.ssa Di Renzo, qual è il razionale alla base del possibile impiego degli acidi grassi nelle terapie dei tumori ematologici?

Si tratta di un’ipotesi che si sta facendo largo in questi ultimi anni, poiché è stato visto che la supplementazione con queste molecole è di supporto alle terapie e ne limita anche i numerosi effetti collaterali. Abbiamo visto in alcuni trial clinici, per esempio, che il trattamento con Omega-3, nello specifico Epa e Dha, in pazienti con leucemie e linfomi ha portato a un miglioramento delle condizioni generali. Nello specifico: diminuzione dei livelli plasmatici di proteine infiammatorie e della tossicità farmaco indotta.

Oggi vengono utilizzati su larga scala o è una prospettiva futura?

Gli studi clinici che abbiamo trovato in letteratura sono comunque abbastanza esigui. Sarebbe opportuno e importante che venisse implementato il loro utilizzo, anche per il basso costo e l’assenza quasi totale di effetti collaterali. In futuro, si può ipotizzare che possano entrare in pianta stabile nei protocolli terapeutici per il trattamento dei tumori ematologici.

Cosa dice la letteratura scientifica a supporto del loro impiego?

Abbiamo analizzato diversi lavori in merito, soffermandoci sia sulla loro azione in vitro su linee cellulari di leucemie, linfomi e mieloma, sia in vivo direttamente in studi clinici su pazienti.

Sulle cellule ci sono numerosi studi che hanno evidenziato come il trattamento con Epa, Dha e altri acidi grassi come l’acido butirrico rendano le cellule maligne più pronte a subire il trattamento con i farmaci. È come se gli acidi grassi funzionassero da “apripista” per i farmaci chemioterapici che poi portano le cellule malate a morire. Questo è stato visto in tutti i tumori ematologici, dai linfomi, alle leucemie, sia acute che croniche, al mieloma multiplo. Non abbiamo trovato invece lavori e dati sulle altre sindromi mielodisplastiche.

Studi sperimentali sul meccanismo di azione degli acidi grassi sono interessanti, ma ancora non è del tutto chiara la loro applicabilità clinica. Infatti, per quanto riguarda gli studi su pazienti, ci sono ancora limitate evidenze che la supplementazione possa essere efficace; in particolare è stato visto come gli acidi grassi possano limitare gli effetti collaterali della chemioterapia e prevenire patologie correlate, come, per esempio la neuropatia periferica.

Sono impiegabili anche in concomitanza all’uso delle cure più innovative quali immunoterapia e Car-T?

Possono essere di supporto a queste terapie innovative e ancora sotto studio per i loro effetti avversi come aumento dei livelli di infiammazione e tossicità. Gli acidi grassi hanno notoriamente una azione antinfiammatoria, e sono in grado di inibire la molecola NFkB con relativo aumento della produzione di protectine, maresine e resolvine. Inoltre, sono dei potenti immunomodulatori, capaci di regolare i livelli di citochine proinfiammatorie circolanti, di alterare il pH cellulare e rimodellare la membrana. Quindi è auspicabile che possano entrare in pianta stabile nei protocolli terapeutici di questi pazienti.

In conclusione: il loro impiego è già indicato nelle linee-guida o è possibile immaginare che lo siano a breve?

Non ci sono ancora linee guida che ne consiglino l’utilizzo, ma solo alcuni trial clinici e studi preliminari. Sarebbe opportuno ipotizzare l’impiego degli acidi grassi da fonti alimentari o come integratori all’interno di un piano dietetico personalizzato, ma bisogna porre sempre molta attenzione al possibile effetto avverso nel paziente oncologico.

Nicola Miglino

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