Il caffè potrebbe rappresentare un presidio in grado non solo di prevenire il Parkinson, ma anche di ritardarne l’età di esordio e, probabilmente, di indurre una più lenta evoluzione della sintomatologia motoria. Queste le conclusioni di uno studio appena pubblicato su Parkinson’s & Related Disorders, coordinato da Giovanni Defazio, docente di Neurologia all’Università di Cagliari, e che ha visto la collaborazione delle Università di Bari, Catania e Verona, oltre all’Albert Einstein College of medicine di New York, al dipartimento di neurologia dell’Asst Pavia-Voghera e all’Irccs Neuromed di Pozzilli.

Il caffè sembra in grado di ridurre i sintomi da discinesia in virtù della capacità della caffeina di legarsi ai recettori dell'adenosina che modificano la funzione di una proteina disfunzionale (Adcy5) all’origine del disturbo.

Un piacere quotidiano, un momento di relax e convivialità. Anche, però, un energizzante, per il corpo e, perché no, per l’economia, dopo tanti mesi di difficoltà. È questo lo scenario che emerge dalla seconda edizione dell’indagine “Gli italiani e il caffè” condotta da AstraRicerche per conto del Consorzio promozione caffè presentata in occasione della Giornata Internazionale del Caffè, dello scorso 1° ottobre.

Il consumo di caffeina non solo non espone al rischio di aritmie ma, al contrario, può anche sorprendentemente, rivelarsi un fattore protettivo. Questo quanto emerge da uno studio prospettico condotto da un gruppo di ricercatori americani e pubblicato di recente su Jama internal medicine.

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