Poche tazze di caffè per rallentare la progressione di malattia e aumentare la sopravvivenza in caso di ca colorettale metastatico. Un’ipotesi che ora si basa su dati concreti provenienti da uno studio osservazionale prospettico pubblicato su Jama Oncology. Come tale, non dà ovviamente informazioni su un rapporto causa-effetto, ma quanto visto non soltanto conferma indicazioni precedenti relative a forme non metastatiche ma pone le basi per futuri trial clinici di intervento.

Il caffè può aiutare a ridurre il rischio di alcune patologie dell’apparato digerente, tra cui la calcolosi biliare e la pancreatite, nonché favorire la motilità intestinale e agire positivamente sul microbiota intestinale. Queste le principali conclusioni di un rapporto sugli effetti gastrointestinali del caffè redatto, per conto dell’Institute for scientific information on Coffee (Isic), da Carlo La Vecchia, docente di Statistica medica ed epidemiologia all’Università di Milano.

È stato di recente pubblicato uno studio che ha esaminato le relazioni tra i metodi di preparazione del caffè e i rischi di infarto e morte che ha concluso che la bevanda filtrata è la più sicura.

Tutti da dimostrare gli effetti protettivi sul Dna da parte del caffè e, dunque, nessuna autorizzazione all’uso di claim in questa direzione. La decisione è dell’Efsa, in seguito alla domanda pervenuta da parte un’azienda tedesca (Tchibo Gmbh) che aveva inoltrato richiesta e documentazione scientifica su un suo prodotto, denominato Caffè 21 (C21), di cui vantava capacità di protezione dalla rottura dei filamenti di Dna.

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