Oligosaccaridi del latte materno: pochi dati per le formule artificiali

16 Marzo 2022

Hos, ovvero human-oligosaccaridi. Parliamo di catene corte non digeribili di zuccheri (glucosio, galattosio, N-acetilglucosamina, fucosio e acido sialico) che rappresentano la terza componente più abbondante nel latte materno il cui carattere di prebiotici costituisce un elemento di forte interesse per i ricercatori. Proprio su questi aspetti, e su eventuali possibilità di aggiunta ai latti artificiali, si è concentrata una review da poco pubblicata su Advances in nutrition.

In quanto prebiotici, i Hos sono in grado di nutrire il microbiota intestinale, stimolando la crescita di microorganismi benefici. La non digeribilità li fa arrivare direttamente al colon, dove esplicano la loro azione sulla flora batterica, in particolare su bifidobatteri e lattobacilli, modificandola in maniera selettiva e favorendone l’equilibrio.

La review è stata condotta con lo scopo principale di valutarne l’effetto nell’ambito della nutrizione nel primo anno di vita, in particolare considerando gli outcome di: crescita, microbiota, consistenza delle feci e sviluppo del sistema immunitario. L’analisi è stata condotta utilizzando i principali motori di ricerca della letteratura scientifica, selezionando, dopo una serie di screening, 10 articoli pubblicati negli ultimi dieci anni fino a maggio 2021.

Dai risultati è emerso come i Hos del latte materno svolgano un ruolo cruciale nello sviluppo del microbiota intestinale del neonato con possibili effetti benefici su diversi fronti, dallo sviluppo cognitivo, alla crescita, alla prevenzione dell’obesità. Tuttavia, la scarsità di dati ottenuti tramite studi randomizzati rende difficile definire con certezza un loro specifico meccanismo di azione che ne giustifichi l’aggiunta alle formule lattee. È però a oggi definito che la loro supplementazione non arreca alcun danno alla salute del neonato ma, anzi, può avere effetti positivi sul sistema immunitario.

Il lavoro si chiude con una raccomandazione, ovvero quella di non trasferire le evidenze sull’infanzia in integratori per adulti. Il motivo è semplicemente legato al fatto che il bambino non può essere considerato un piccolo adulto, ma un organismo in crescita, con specifici fabbisogni nutrizionali, che cambiano a seconda della fascia d’età in cui si trova. “Per trasferire le conoscenze che abbiamo sul bambino, all’adulta, c’è bisogno di studi precisamente disegnati su una popolazione di adulti, con ipotesi e outcome primari chiari”.

Nicola Miglino

 

 

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