Schizofrenia da carenza vitaminica: dal Canada ipotesi rivoluzionaria

18 Dicembre 2019

Alcuni casi di schizofrenia nei paesi più poveri potrebbero essere semplicemente dovuti a carenze nutrizionali, in particolare di vitamina B3 (niacina). È l’ipotesi suggestiva proposta da Esme Fuller-Thomson, docente alla Factor-Inwentash faculty of social work (Fifsw) dell'Università di Toronto, dalle colonne della rivista Schizophrenia research

Tutto nasce dai risultati di uno studio recente pubblicato su Jama psichiatry e condotto nel sud dell'India che ha identificato un legame tra la schizofrenia e una variante del gene Naprt1, in grado di ridurre la capacità dell’organismo di utilizzare la niacina, presente naturalmente in carne, pollame, pesce e uova.

La ricerca indica che tale variante allelica è associata a un rischio superiore del 27% di sviluppare schizofrenia in un campione proveniente dall'India meridionale e solo del 4% maggiore tra gli individui di origine europea.

L’ipotesi, dunque, è che laddove c’è rischio di malnutrizione, l’eventuale deficit di niacina in gravidanza, associato alla presenza di variante genica Naprt1, possa predisporre il nascituro allo sviluppo di un disturbo psicotico.

Sono ormai diversi gli studi che indicano come i figli di madri malnutrite nel primo trimestre di gravidanza presentino il doppio delle probabilità di sviluppare schizofrenia. La maggior parte dei ricercatori indica la causa in una carenza nutrizionale, ma ancora quale non è chiaro: Fuller-Thomson arriva a ipotizzare che possa essere proprio la vitamina B3, in virtù di una serie di indizi.

L'identificazione della variante genica, infatti, potrebbe fornire spiegazioni a diversi fenomeni finora poco chiari.  Normalmente, per esempio, chi riceve alte dosi di niacina, sviluppa rash cutanei, formicolii e prurito, cosa che non accade in molti schizofrenici, probabilmente, sostiene, Fuller-Thomson, perché presentano la forma allelica che inibisce l'assorbimento della vitamina.

Ulteriori considerazioni vengono fatte rispetto alla pellagra, tipica malattia dovuta a carenza di niacina, che, tra il 1906 e il 1940, colpì quasi 3 milioni di americani. Poi la farina fu arricchita di vitamina B3 e il problema scomparve. Oggi la diagnosi di pellagra è rara, ma Fuller-Thomson si chiede se alcuni casi di schizofrenia nei paesi più poveri non possano essere semplicemente psicosi legate a pellagra facilmente curabili con somministrazione di niacina.

A supporto di tale ipotesi, si citano alcuni studi dell'Oms che evidenziano come i pazienti con schizofrenia nei paesi in via di sviluppo guariscano più velocemente rispetto a quelli dei paesi occidentali, nonostante le maggiori possibilità di cura per questi ultimi. Se, infatti, alcuni pazienti affetti da schizofrenia nei paesi più poveri fossero, in realtà, casi di pellagra non diagnosticati, la loro psicosi potrebbe essere stata curata semplicemente in ospedale grazie a un’alimentazione ricca di niacina.

Infine, la prova delle prove.  Sei studi randomizzati e controllati condotti in Canada, negli anni Cinquanta, hanno evidenziato ottimi risultati nel trattamento di pazienti schizofrenici con alte dosi di niacina, intervento rivelatosi inefficace in studi equivalenti condotti 20 anni dopo. I trial canadesi degli anni Cinquanta furono condotti su pazienti nati nel periodo della cosiddetta grande depressione, prima che venisse introdotta la farina fortificata con niacina. È molto probabile, perciò, che i casi di schizofrenia antecedenti dipendessero da madri malnutrite e/o carenti di niacina, mentre negli anni Settanta le donne in gravidanza già traessero beneficio da un’alimentazione soddisfacente, non a rischio di pellagra e psicosi conseguente.

Così conclude Fuller-Thomson: "Ovviamente si tratta di un’ipotesi che richiede ulteriori verifiche sul campo. Certo è che laddove si ravvisassero casi di psicosi dovuti a pellagra, avremmo a disposizione una cura, come la niacina ad alte dosi, economica e di facile impiego. Ovviamente sotto supervisione medica e con tutte le attenzioni del caso, giacché la B3 ad alte dosi può risultare tossica se non, in alcuni casi, fatale, qualora non adeguatamente monitorata”.

Nicola Miglino

 

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