Nonostante il suo ruolo benefico in diversi aspetti del metabolismo dello stress, la terapia con glutammina come strategia di farmaco-nutrizione è stata rivalutata negli anni passati, a seguito della pubblicazione di tre grandi studi randomizzati controllati che mostravano un effetto neutro o addirittura dannoso per i pazienti nell'unità di terapia intensiva.
Nello studio del 2013 pubblicato su New England Journal of Medicine, c'è stata una tendenza verso un aumento della mortalità a 28 giorni tra i pazienti che hanno ricevuto glutammina rispetto a quelli che non l’avevano ricevuta; la mortalità a 6 mesi era significativamente più alta tra i trattati e non si segnalava alcun effetto sui tassi di insufficienza d'organo o complicanze infettive.
Nel 2013, inoltre, i risultati dello studio Redoxs (Reducing deaths due to oxidative stress), finora il più grande studio sulla farmaco-nutrizione con glutammina parenterale ed enterale più un cocktail antiossidante enterale, hanno ulteriormente modificato il comportamento della comunità scientifica, poiché i suoi risultati hanno dimostrato una mortalità significativamente più alta in quei pazienti critici che ricevevano glutammina a dosi molto elevate.
L'analisi post hoc dello studio Redoxs riferisce che la glutammina ad alte dosi si associa ad aumento della mortalità solo in caso di insufficienza multiorgano. Inoltre, le linee guida del 2019 sulla nutrizione clinica in terapia intensiva della European society for clinical nutrition and metabolism suggeriscono la somministrazione di glutammina enterale solo in pazienti con traumi critici o ustionati a dosaggi giornalieri da 0,2 a 0,3g/kg per 5 giorni e scoraggiano l'integrazione di glutammina parenterale in pazienti in terapia intensiva complessa instabile, in particolare quelli con insufficienza epatica e renale.
Nel 2017 una revisione generale di 22 metanalisi su pazienti critici o chirurgici aveva invece concluso che la supplementazione di glutammina potrebbe ridurre il tasso di complicanze infettive acquisite in ospedale e accorciare la degenza ospedaliera.
Entrando nel dettaglio dei dati appena pubblicati, ciò che emerge però è che la scarsa certezza dell'evidenza scoraggia dal sostenere fortemente un ruolo benefico della glutammina nel ridurre le complicanze infettive e restano tanti punti di domanda sul rischio di eventi avversi.
Due soli studi hanno infatti valutato questo aspetto: Avenell nel 2009 ha riportato un effetto insignificante della glutammina sullo sviluppo dell'insufficienza renale e multiorgano e nel 2014 un altro gruppo di ricerca non è riuscito a identificare alcun cambiamento significativo dei marcatori biochimici come la creatinina sierica, l'aspartato transaminasi e l'alanina transaminasi, tutti marcatori di danni renali o epatici. Per altro il rischio di complicanze del tratto gastrointestinale non è stato influenzato negativamente. Anche in quest’ultimo lavoro, d’altra parte, l’integrazione di glutammina non sembra essere associata all'outcome primario o al tasso di mortalità.
Silvia Ambrogio
Bibliografia
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