Si tratta di un prodotto naturale catramoso con un caratteristico odore balsamico e dal sapore di incenso bruciato. Anche sulla sua origine non vi è ancora accordo scientifico: prodotto della conversione biologica che si verifica in determinate condizioni fisicochimiche di residui vegetali morti o escrementi animali, o entrambi? Un prodotto di processi geologici? Un prodotto secondario, in cui i componenti minerali si formano a seguito di varie migrazioni?
Per ora la natura sorprendentemente simile dei principali costituenti attivi e la sua grande abbondanza all'interno delle rocce ad alta quota e in luoghi non raggiungibili dagli animali terrestri indicano che lo shilajit è derivato dalle rocce.
Molto probabilmente, il “cuore attivo” dello shilajit è costituito da dibenzo-α-pironi e metaboliti correlati, triterpeni, piccoli peptidi costituiti da aminoacidi non proteici, alcuni lipidi fenolici, piccoli tannoidi, acido fulvico. Nel 2004 sono state inoltre trovate altre molecole attive uniche: shilajityl acetato, shilajitol, shilacatechol, shilaxanthone, shilanthranil e naphsilajitone.
L'acido fulvico sembra essere la sostanza chiave per le sue proprietà antiossidanti e antinfiammatorie che l’hanno reso protagonista di diversi studi in ambito neurologico e gastroenterologico, nella fattispecie nell’area dell’Alzheimer, delle malattie infiammatorie croniche dell’intestino e del diabete.
Sulla base degli studi attualmente disponibili, la bioattività dello shilajit manca di valutazione scientifica e documentazione sistematica, ma le sue proprietà e il suo secolare utilizzo nella medicina indiana lo rendono una sostanza minerale di grande interesse.
Nell'armamentario della farmacopea Siddha, delle 220 sostanze minerali e metalliche utilizzate nei sistemi medici tradizionali indiani, lo shilajit è un minerale naturale ampiamente utilizzato e citato in qualità di rasayana in Charaka Samhita, il più antico testo del sistema di medicina ayurvedica, come in grado di prevenire i disturbi e migliorare la qualità della vita, i due principali attributi della medicina indiana Ayurvedica e Siddha.
Descritto nella letteratura tradizionale indiana e tibetana è per lo più sconosciuto in Occidente.
Secondo la tradizione indiana, lo shilajit esercita un'azione tonica, lassativa, espettorante, diuretica, anti-biliare, immunomodulante e antipertensiva quando ingerito e agisce come antisettico, analgesico, disostruente e germicida per via topica.
Viene somministrato insieme al latte per controllare il diabete e insieme a Commiphora wightii (Arn.) Bhand. (guggulu) per il trattamento delle fratture.
Oggi lo shilajit è disponibile sul mercato come uno degli ingredienti in varie formulazioni erborominerali sia nei prodotti tradizionali sastrici che in quelli brevettati Otc e anche se le formulazioni contenenti shilajit sono attualmente utilizzate sia dai professionisti che dal pubblico, la quantità di erbe e minerali all’interno dei prodotti rendono ardua la standardizzazione della formulazione e difficile studiarne l'efficacia.
Nel 2003 uno studio clinico ha mostrato il suo effetto sull'attività antiossidante nei diabetici: a 61 soggetti diabetici di entrambi i sessi, di età compresa tra 31 e 70 anni è stato somministrato in due capsule (500 mg ciascuna) due volte al giorno per 30 giorni. Il trattamento ha mostrato una significativa diminuzione dei valori di malondialdeide e un aumento dei valori di catalasi. L' attività antiossidante in vivo è stata tuttavia studiata a bassi dosaggi e manca in letteratura un confronto con un controllo come la vitamina C.
È stato scoperto che lo shilajit puro integra il potenziale litico dei linfociti attivati e produce citotossicità mediata dalle cellule T. I principi attivi chiave responsabili dell'attività immunomodulante sembrano le strutture complesse del bis-dibenzo-α-pirone ferrato e le dibenzo-α-pironi-cromoproteine.
Studi clinici su pazienti affetti da Hiv con una formulazione composita contenente shilajit, hanno rivelato un netto miglioramento dei sintomi e un aumento della conta delle cellule Cd4 e Cd8. Tuttavia, l'attività immunomodulante in vivo dichiarata non rappresenta il dosaggio esatto studiato ed è ancora necessario determinare attentamente la farmacocinetica, la biodisponibilità per via orale della componente immunostimolante, la dose e la durata della somministrazione di diverse formulazioni per evitare il rischio di qualsiasi compromissione del sistema immunitario.
Sono ancora pochi gli studi clinici sulle altre attività vantate dal composto. In volontari sani di età compresa tra 45 e 55 anni è stato valutato il suo effetto sull'ormone androgeno maschile alla dose di 250 mg due volte al giorno: il trattamento con shilajit per 90 giorni consecutivi ha rivelato un aumento significativo del testosterone totale, del testosterone libero e del deidroepiandrosterone rispetto al placebo.
Silvia Ambrogio
Bibliografia
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- Gunapadam Thathu Jeeva Vaguppu (fourth ed.), Directorate of Indian Medicine and Homeopathy, Chennai, India (1992).