Da sette centri ospedalieri statunitensi sono stati reclutati quasi 200 bambini di età compresa tra 6 e 16 anni, tutti con almeno un attacco d'asma durante l'anno precedente l’inizio dello studio, in terapia con basse dosi di corticosteroidi per via inalatoria e con livelli sierici di 25-idrossivitamina D ≤ 30 ng/ml.

Sono così stati randomizzati a ricevere per tre anni vitamina D3, 4.000 Ui/die (n = 96) o placebo (n = 96) in aggiunta alla terapia steroidea già in corso (fluticasone proprionato: 176 μg/die 6-11 anni; 220 μg/die 12-16 anni).

A fine studio non si sono registrate differenze significative sia nella riduzione dei tempi di riacutizzazione degli attacchi, sia nell’impiego di corticosteroidi.

Risultati sorprendenti se si pensa che in precedenza studi osservazionali avevano evidenziato esattamente l’opposto ma, come sottolinea Juan C. Celedón, direttore della Pneumologia pediatrica all’Upmc children's Hospital di Pittsburgh e prima firma dello studio “questi tipi di trial non ti consentono di comprendere se il deficit di vitamina D sia l’effetto o la causa degli attacchi”.

E conclude: "Ci sono colleghi, in Usa come nel resto del mondo, che prescrivono dosaggi di vitamina D ai bambini con asma somministrando poi un’integrazione. Tutto ciò assorbe un sacco di risorse, di tempo ed economiche. Il nostro studio non mostra benefici in caso di livelli ematici di vitamina D moderatamente bassi. Ciò ovviamente non pregiudica affatto l’utilità di un’integrazione in caso di grave deficit per quanto riguarda la salvaguardia della salute ossea”.

Nicola Miglino