Si trattava di persone che, mediamente, dormivano 6,5 ore per notte. Dopo due settimane di monitoraggio, per assicurarsi che effettivamente la durata media del riposo notturno fosse di 6,5 ore, i partecipanti sono state divisi in due gruppi: il primo, attraverso un percorso di educazione al sonno, puntava a estendere la durata della dormita notturna mentre il secondo è stato considerato di controllo. Questo l’unico intervento: per il resto, i partecipanti dovevamo, per due settimane, condurre la loro vita consueta, sia in termini di abitudini alimentari che di attività fisica. La durata del sonno veniva misurata mediante l’uso di actigrafo, un sensore posizionato sul polso che consente di registrare i movimenti effettuati dal corpo e valutare indirettamente il sonno notturno. Le calorie introdotte, invece, venivano calcolate sommando la spesa energetica, valutata tramite un test per misurare il consumo metabolico (Doubly Labeled Water) e la variazione delle riserve energetiche calcolata sulla base di peso e composizione corporea (Dexa, Assorbimetria a raggi X a doppia energia).
Innanzitutto, nel gruppo che potremmo definire “attivo” si è ottenuto un allungamento della durata del sonno di 1,2 ore rispetto ai controlli. In aggiunta, lo stesso gruppo ha registrato una riduzione dell’intake calorico giornaliero pari a 270 calorie e una diminuzione statisticamente significativa del peso pari, mediamente, a 0,87 kg. In tutti i partecipanti, la variazione della durata del sonno è risultata inversamente correlata a una variazione dell'intake calorico. I calcoli hanno dimostrato che la riduzione non dipendeva da un maggior dispendio ma proprio da un minor introito.
"I nostri risultati sottolineano una volta di più l'importanza di migliorare la qualità del sonno come obiettivo di salute pubblica per la prevenzione dell'obesità”, commentano gli Autori. “Tra i limiti dello studio, segnaliamo la coorte di adulti in sovrappeso, che non consente di generalizzare le conclusioni ad altre popolazioni più diversificate. La durata, poi, che impedisce previsioni su periodi più lunghi e la mancata analisi di potenziali meccanismi biologici alla base del rapporto tra assunzione di cibo e ritmo circadiano”.
Nicola Miglino