Mediterranea e low-fat, le diete salva-cuore

21 Aprile 2023

Una dieta di tipo mediterraneo piuttosto che a basso contenuto di grassi riduce mortalità e probabilità di infarto nei pazienti ad alto rischio di malattie cardiovascolari, secondo una review da poco pubblicata sul British medical journal.

La ricerca ha preso in esame 40 studi clinici randomizzati, per un totale di oltre 35 mila partecipanti, valutando sette tipi distinti di piani dietetici che andavano da programmi a basso/bassissimo contenuto di grassi, alla dieta mediterranea, confrontati con diete abituali o seguite dopo semplice consulto medico, senza follow-up.

L'analisi mostra che tra tutti i programmi dietetici disponibili, la dieta mediterranea ha fornito risultati migliori su più parametri rispetto ai controlli: il rischio di morte per qualsiasi causa si è ridotto di circa il 30%, con un numero di decessi per 1.000 persone diminuito di 17 casi in cinque anni.

Tra i pazienti a rischio intermedio, la morte per malattie cardiovascolari si è più che dimezzata, con 13 decessi in meno ogni 1.000 persone in cinque anni. Anche il rischio di ictus e infarto miocardico non fatale è diminuito di un terzo nel primo caso e della metà nel secondo, rispettivamente, con 7 e 17 eventi in meno per 1.000 persone in cinque anni.

Ancora più eclatanti i dati tra i pazienti ad alto rischio: il rischio di morte per qualsiasi causa è ulteriormente diminuito, con 36 decessi in meno ogni 1.000. I casi di ictus si sono ridotti di 16 per 1.000 persone e gli infarti non fatali di 42.

Vantaggi anche dai programmi a basso contenuto di grassi: rischio di morte per qualsiasi causa ridotto del 16%, e attacchi cardiaci non fatali di circa il 20% nello stesso periodo, rispetto ai programmi di intervento minimo/consulenziale nei controlli.

Così concludono gli Autori: “Diete di tipo mediterraneo e a basso contenuto di grassi sembrano, dunque, avere effetti comparabili su mortalità per tutte le cause e infarto cardiaco non fatale tra i pazienti a rischio intermedio, mentre i benefici più eclatanti sembrano evidenziarsi tra i pazienti ad alto rischio”. (n.m.)

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