Covid 19: Vitamina C ad alte dosi endovena in terapia intensiva. Cina e Usa ci provano

31 Marzo 2020

Alte dosi di vitamina C endovena potrebbero essere utili nella cura di Covid 19 ? A sollevare la questione, negli Stati Uniti, un articolo del New York Post che racconta un’esperienza specifica in corso in alcuni ospedali afferenti al Northwell Health, la più grande rete di strutture sanitarie dello Stato di New York.

A parlare è Andrew G. Weber, pneumologo e specialista in terapia intensiva, operante in due di queste strutture. “Somministriamo ai nostri pazienti nell’immediatezza del ricovero in terapia intensiva, 1.500 mg di Vitamina c per via endovenosa, 3-4 volte al giorno”, dice Weber. Una dose 16 volte superiore a quella suggerita dagli Nih (National institutes for health) per l’assunzione giornaliera con la dieta, pari a 90 mg per gli uomini e 75 per le donne.

“La somministrazione avviene in supporto a farmaci quali l’idrossiclorochina, l’azitromicina, agenti biologici e fluidificanti del sangue”.

Secondo Weber “Chi riceve le alte dosi di vitamina C mostra miglioramenti significativi. I livelli di vitamina C nei pazienti Covid 19 crollano drammaticamente in seguito al processo infettivo e allo scatenamento dello stato infiammatorio. C’è pertanto un razionale nel tentativo di ripristinarne i valori corretti”.

La strategia è stata suggerita da quanto già praticato in Cina dove sono in corso ben tre trial clinici sugli effetti di alte dosi di vitamina C nel trattamento di Covid 19. L’ultimo ha preso il via lo scorso 14 febbraio all’Ospedale Zhongnan di Wuhan, su 140 pazienti, con disegno a triplo cieco.

Già una metanalisi del 2019, pubblicata su Nutrients, evidenziava, non in pazienti Covid 19, l’efficacia della Vitamina C orale ad alte dosi nel ridurre i tempi di permanenza in terapia intensiva.

La stessa Shangai medical association, infine, lo scorso 1 marzo, ha emanato le linee guida ufficiali per la gestione della malattia, con l’indicazione all’uso endovena di vitamina C ad alte dosi (100-200 mg/Kg al giorno).

Abbiamo chiesto un commento ad Arrigo Cicero, presidente Sinut (Società italiana di nutraceutica): “Si tratta di dati da interpretare con molta attenzione per due motivi. Il primo è che la metanalisi di Nutrients che fa riferimento all’accorciamento dei tempi di degenza e, in particolare, dei tempi di ventilazione, si basa su ricoveri in terapia intensiva senza far riferimento specifico al coronavirus. In secondo luogo, l’impiego clinico raccontato dagli americani mostra un vantaggio per la somministrazione intravenosa di quantità di vitamina C sei volte superiori a quelle che noi utilizziamo come integratore. Il problema reale, dunque, è che la cosa è fattibile solo usando, eventualmente, la vitamina C come farmaco, e non certo con un’autosomministrazione. Aggiungerei, poi, che l’equivalenza tra dose endovenosa e orale non è così  semplice e diretta perché la biodisponibilità per via orale della vitamina C è molto variabile in funzione delle modalità di somministrazione e del tipo di formulazione. È pertanto molto probabile che i 3 gr di vitamina C per endovena possano coincidere con quantità per os anche 10 volte superiori, al limite della dose utilizzabile come integratore senza rischi per la salute. In questo momento la situazione sanitaria è molto grave e, pertanto, qualsiasi intervento può essere sfruttato. Interessante l’ipotesi che si si sta perseguendo. Da qui a estrapolare il fatto che il soggetto che sia semplicemente Covid positivo o quello fragile, più a rischio, possano trarre vantaggio con supplementazione di Vitamina C è una strada tutta da investigare. Ciò non toglie che dosi adeguate di integratori di vitamina C siano in grado di esercitare una moderata attività di protezione da eventuali infezioni minori che possano competere o concomitare con quella da Covid 19”.

Nicola Miglino

 

 

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