L’indagine, che ha coinvolto oltre 22 mila partecipanti del Progetto Moli-sani, ha utilizzato oltre 30 diversi biomarcatori ematici per misurare l’età biologica, che, a differenza dell’età cronologica che dipende solo dalla data di nascita, riflette le condizioni biologiche dell’organismo, inclusi organi, tessuti e apparati.
Grazie a un dettagliato questionario alimentare, i ricercatori hanno potuto stimare il consumo di alimenti ultra-processati (Upf), ossia quei cibi fatti in parte o interamente con sostanze che non vengono utilizzate abitualmente in cucina quali, per esempio, proteine idrolizzate, maltodestrine, grassi idrogenati, e che contengono generalmente diversi additivi, come coloranti, conservanti, antiossidanti, anti-agglomeranti, esaltatori di sapidità ed edulcoranti. Tra questi, non solo snack confezionati o bevande zuccherate, ma anche prodotti insospettabili come pane industriale, yogurt alla frutta, alcuni cereali per la colazione o zuppe pronte, per fare alcuni esempi.
Lo studio ha dimostrato che un elevato consumo di Upf è associato a un’accelerazione significativa dell’invecchiamento biologico dell’organismo. In pratica, le persone sono biologicamente più vecchie della loro effettiva età cronologica. L’invecchiamento biologico è infatti un “orologio interno” del nostro corpo, che può ticchettare più velocemente o più lentamente rispetto agli anni segnati sul calendario, riflettendo il vero stato di salute dell’organismo”.
“Questo studio ci invita ancora una volta a ripensare le raccomandazioni alimentari: non basta limitarsi alla qualità nutrizionale, ma occorre considerare anche il grado di lavorazione industriale dei cibi”, commenta Licia Iacoviello, direttore dell’Unità di Ricerca di Epidemiologia e Prevenzione dell’Irccs Neuromed e professore Ordinario di Igiene generale e applicata all’Università Lum. “Anche alimenti apparentemente sani, infatti, possono essere stati sottoposti a processi di lavorazione che ne alterano le caratteristiche”.
Così Simona Esposito, primo autore dello studio: “I nostri dati mostrano che un elevato consumo di cibi ultra-processati non solo ha un impatto negativo sulla salute in generale, ma potrebbe anche accelerare proprio l’invecchiamento, suggerendo un collegamento che va oltre la scarsa qualità nutrizionale di questi alimenti”.
Marialaura Bonaccio, responsabile degli studi su alimentazione e salute dell’Irccs Neuromed: “I meccanismi attraverso cui gli alimenti ultra-processati possono danneggiare la salute non sono ancora del tutto chiari. Oltre a essere inadeguati da un punto di vista strettamente nutrizionale, essendo ricchi di zuccheri, sale e grassi saturi o trans, questi alimenti subiscono una intensa lavorazione industriale che di fatto ne altera la matrice alimentare, con la conseguente perdita anche di nutrienti e fibre. Questo può avere importanti ripercussioni su una serie di funzioni fisiologiche, incluso il metabolismo del glucosio e la composizione e funzionalità del microbiota intestinale. Non va inoltre dimenticato che spesso questi prodotti vengono venduti in confezioni di plastica diventando così veicoli di sostanze tossiche per l’organismo”.