Covid-19, l’efficacia della vitamina C può dipendere da un “nastro trasportatore”

17 Novembre 2020

A fare la differenza nella risposta alla vitamina C in caso di infezioni virali, piuttosto che di altri quadri patologici, potrebbe essere la disponibilità della proteina di trasposto intracellulare. L’ipotesi viene suggerita in una pubblicazione su Aging and Disease da un gruppo di ricercatori del Medical College of Georgia Center for Healthy Aging, che hanno preso in esame i dati oggi disponibili sull’impiego di alte dosi di vitamina C Iv (fino a 10 volte quella raccomandata di 65-90 mg/die) in diversi ambiti clinici con l’idea di comprendere se vi siano basi razionali per un impiego contro Covid-19.

“Al momento non vi sono dati disponibili sull’efficacia in caso di Covid-19, né prove di un’utilità in profilassi” sottolineano gli Autori. “Sono però circa una trentina gli studi a oggi registrati su Clinicaltrials.gov volti a fare chiarezza in quest’ambito, con un razionale basato su una letteratura ricca di indicazioni che suggeriscono come tale approccio possa prevenire le infezioni o accorciarne la durata, grazie a un’azione immunostimolante, antinfiammatoria e antiossidante.

Spesso, però, i risultati dell’impiego di vitamina C sono contrastanti e tra le spiegazioni ecco affacciarsi quella legata a un ruolo dei trasportatori intracellulari di acido ascorbico nel condizionarne l’effetto finale.

“L’efficacia della vitamina C può dipendere da fattori quali età, sesso, etnia ma anche dall’espressione dei geni che codificano per i trasportatori implicati nel suo ingresso in cellula” sottolinea Carlos M. Isales, condirettore dell’Mcg center for healthy aging. “La possibilità che la vitamina C entri o no all’interno della cellula è fondamentale per la sua azione. Senza un adeguato trasporto che consenta a questa molecola idrofila di attraversare lo strato lipidico della membrana cellulare, si viene a determinare un accumulo all’esterno che innesca una serie di reazioni la cui conseguenza è un aumento dello stress ossidativo: in sostanza, l’effetto opposto rispetto al contrasto dei radicali liberi che si dovrebbe attivare a livello intracellulare”.

Dati sulle infezioni virali mostrano, secondo gli Autori, benefici della vitamina C Iv nel migliorare la funzione polmonare in caso di distress respiratorio acuto, tra le principali conseguenze di Covid-19. La stessa condizione di forte stress ossidativo, tipica anche di Covid-19, si lega a un'espressione significativamente ridotta del trasportatore della vitamina C.

I ricercatori americani hanno già evidenziato nel passato come i processi di invecchiamento si associno a una minore espressione di almeno un sottotipo di trasportatore di vitamina C.  

“Tra i soggetti a maggior rischio di Covid-19 - commentano - si annoverano proprio gli anziani o soggetti con comorbidità quali artrosi, ipertensione, e diabete che presentano livelli più bassi di vitamina C, una carenza che può aggravarsi in corso di malattia giacché l’infezione porta l’organismo a consumare più acido ascorbico, privandosi di un presidio antinfiammatorio utile in caso di iperattivazione citochinica”.

Così concludono: “L’auspicio è che gli studi in quest’ambito tengano sempre in considerazione l’espressione e il polimorfismo genici del trasportatore intracellulare di vitamina C, valutabili attraverso tecniche di Pcr - Polymerase chain reaction. A questo punto riteniamo urgente indagare in tempi rapidi la correlazione tra livelli plasmatici di vitamina C, rischio di infezione e gravità del quadro clinico per comprendere definitivamente se l’acido ascorbico può davvero rappresentare un’arma efficace contro Covid-19, in particolare negli anziani o in caso di comorbilità”.

Nicola Miglino

 

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