Omega-3 non migliorano esiti clinici in pazienti ad alto rischio cardiovascolare

09 Dicembre 2020

Nessun beneficio sugli esiti cardiovascolari dall’impiego di omega-3 in pazienti ad alto rischio in trattamento con statine. Questi i risultati di uno studio americano multicentrico randomizzato, in doppio cieco e con gruppo di controllo pubblicato nei giorni scorsi su Jama.

“In questi anni - sottolineano gli Autori - molto interesse si è concentrato sui possibili benefici degli acidi grassi omega-3, con diversi studi osservazionali che hanno evidenziato una correlazione inversa tra concentrazioni ematiche di acido eicosapentaenoico, Epa o docosaesaenoico, Dha e rischio cardiovascolare. L’integrazione con omega-3 ha infatti dimostrato di esercitare effetti benefici sul metabolismo delle lipoproteine e su meccanismi infiammatori, ossidativi, trombotici, vascolari e aritmogeni implicati nelle malattie cardiovascolari. Indicazioni, però, cui non hanno fatto seguito altrettanti successi in ampi trial clinici”.

I ricercatori americani hanno utilizzato una formulazione di Epa e Dha (omega-3 CA) con alle spalle dati a sostegno di un effetto su marker lipidici e di infiammazione in pazienti dislipidemici e ad alto rischio cardiovascolare. Il confronto era con olio di mais, considerato un controllo “neutro” in quanto senza effetti su parametri biochimici associati a rischio vascolare.

Sono stati reclutati 13.078 partecipanti di 22 paesi diversi, dal Nord e Sud America, all’Europa, all’Asia, Nuova Zelanda, Australia e Sud Africa, tutti ad alto rischio cardiovascolare, con ipertrigliceridemia, bassi livelli di c-Hdl e in trattamento con statine.

Due i gruppi di intervento: il primo con 4 g/die di omega-3 CA (n = 6.539) il secondo con olio di mais (n = 6539), sempre in aggiunta alle terapie in corso, statine comprese. Gli eventi valutati come endpoint primario, per una durata massima di osservazione pari a 5 anni di osservazione, consistevano in morte cardiovascolare, infarto miocardico non fatale, ictus non fatale, rivascolarizzazione coronarica o angina richiedente ospedalizzazione. Tali esiti si sono verificati in 785 pazienti (12%) dei trattati con omega-3 rispetto a 795 (12,2%) dei controlli, con una maggiore incidenza di effetti collaterali, in particolare a livello gastrointestinale, ma anche aritmie, nel primo gruppo, al punto che il trial è stato interrotto dopo un follow-up medio di 3,5 anni per l’evidente assenza di benefici.

Tra i limiti dello studio riconosciuti dagli stessi Autori, l’aver coinvolto pazienti ad alto rischio e già in terapia farmacologica, il che non consente di escludere benefici nella prevenzione primaria in casi più lievi e la formulazione di omega-3 impiegata, standardizzata per quanto concerne la composizione in Epa e Dha e dunque e che pertanto non consente conclusioni su dosaggi e proporzioni diverse.

Nicola Miglino

 

 

 

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