Caffeina, dal gruppo Jama nuovi dati su possibile ruolo protettivo contro le aritmie

21 Luglio 2021

Il consumo di caffeina non solo non espone al rischio di aritmie ma, al contrario, può anche sorprendentemente, rivelarsi un fattore protettivo. Questo quanto emerge da uno studio prospettico condotto da un gruppo di ricercatori americani e pubblicato di recente su Jama internal medicine.

Secondo gli Autori, le linee guida internazionali che mettono in guardia dal consumo di caffeina per il rischio aritmie, si basano su dati vecchi e limitati quando, invece, studi recenti non hanno riscontrato questo legame.

Ecco allora che hanno impostato un’analisi su circa 400 mila soggetti afferenti alla Uk Biobank, un database britannico di oltre 500 mila persone reclutate a partire dal 2006, di cui sono disponibili dati clinici, campioni biologici e questionari di valutazione su diverse abitudini comportamentali, comprese quelle dietetiche.

I selezionati sono stati seguiti dal 2006 al 2018, mettendo in correlazione il consumo di caffeina con l’incidenza di aritmie nelle diverse forme: fibrillazione atriale o flutter, tachicardia sopraventricolare, tachicardia ventricolare, battiti prematuri atriali e ventricolari.

Dopo un follow-up medio di 4,5 anni, si sono registrati circa 17 mila casi di aritmie e, una volta aggiustati eventuali fattori confondenti (caratteristiche demografiche, comorbidità, stili di vita), è emerso che per ogni tazza di caffè aggiuntiva consumata giornalmente il rischio di comparsa di alterazioni del ritmo cardiaco diminuiva del 3%, senza distinzione tra le diverse forme aritmiche prese in esame. In aggiunta, è stata effettuata un’analisi sui polimorfismi genetici degli enzimi coinvolti nel metabolismo della caffeina, per vedere se fossero più esposti al rischio coloro che, fisiologicamente, metabolizzavano la sostanza più lentamente. Risultato: nessuna differenza sull’incidenza di aritmie tra forti e deboli consumatori.

“La caffeina è considerata un fattore pro-aritmico, vuoi perché aumenta le concentrazioni ematiche di catecolamine, vuoi perché facilita il rilascio di calcio dal reticolo endoplasmatico determinando una rallentata post-depolarizzazione. Solo però piccoli studi osservazionali segnalano questo rischio. La nostra analisi, al contrario, rivela come quantità crescenti di consumo di caffè si associno a minor rischio di aritmia, in particolare per ciò che concerne fibrillazione atriale e tachicardia sopraventricolare, una relazione non inficiata da differenze genetiche nella capacità di metabolizzare la caffeina. Sono diversi i possibili meccanismi legati a questo effetto protettivo. Per esempio, la caffeina è nota per essere un antagonista dei recettori dell'adenosina e sappiamo come alte dosi di quest’ultima siano in grado di scatenare un episodio di fibrillazione atriale. Le stesse proprietà antiossidanti e antinfiammatorie possono giocare un ruolo, così come quelle catecolaminergiche, importanti in caso di battiti prematuri ventricolari o aritmie scatenate da eccessivo tono vagale. I nostri dati suggeriscono che le raccomandazioni contro la caffeina per ridurre il rischio di aritmia sono probabilmente ingiustificate”.

Nicola Miglino

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