Studi precedenti avevano riportato risultati contraddittori, talvolta anche negativi, probabilmente in virtù del basso numero di soggetti reclutati o perché in diabete già avanzato. In questo caso i ricercatori canadesi, guidati da Claudia Gagnon, dell’Università Laval nel Quebec, hanno condotto uno studio randomizzato, in doppio cieco, su 96 soggetti ad alto rischio o con diabete di recente diagnosi trattati per 6 mesi con vitamina D 5.000 Ui/die o placebo. Endpoint primario era la valutazione, al tempo zero e a sei mesi, della sensibilità periferica all’insulina valutata mediante clamp euglicemico iperinsulinemico. In seconda battuta, sono stati presi in esame altri indici di sensibilità e secrezione insulinica, la funzione delle beta cellule, curva da carico di glucosio, emoglobina glicata e parametri antropometrici.
In sei mesi, i livelli medi di 25(OH)D sono passati da 51,1 a 127,6 nel gruppo attivo, con significativo miglioramento dei parametri di sensibilità periferica all’insulina e un’indicazione tendenziale di beneficio anche sulla funzione delle beta-cellule. Nessuna differenza tra i due gruppi per ciò che concerne gli indici di secrezione insulinica, risposta alla curva da carico, Hba1C.
"Non è chiaro” sottolineano gli autori “come mai abbiamo visto miglioramenti del metabolismo del glucosio a seguito di supplementazione di vitamina D in soggetti ad alto rischio di diabete o con diabete di nuova diagnosi, quando altri studi non sono riusciti a dimostrare un effetto altrettanto evidente in caso di malattia avanzata. Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che i miglioramenti della funzione metabolica sono più difficili da rilevare in caso di malattia di lunga durata o che è necessario un tempo di trattamento più lungo per vedere i benefici ".
Il suggerimento è di promuovere nel prossimo futuro studi in grado di se ci siano singoli fattori clinici o genetici in grado di influenzare la risposta alla supplementazione di vitamina D e se l'effetto positivo sul metabolismo si possa mantenere a lungo termine.