Stop alla carne sintetica, ci si chiede il perché

03 Aprile 2023

Il Consiglio dei ministri ha approvato la scorsa settimana un disegno di legge che introduce disposizioni in materia di divieto di produzione e di immissione sul mercato di alimenti e mangimi sintetici. Sulla base del principio di precauzione “viene sancito il divieto di impiegare, nella preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere, importare, produrre per esportare, somministrare o comunque distribuire per il consumo alimentare, cibi o mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati”.

Uno stop a carne, pesce e latte sintetico.
In caso di violazione delle norme, sono previste sanzioni amministrative pecuniarie “da un minimo di euro 10 mila fino a un massimo di euro 60 mila, ovvero fino al 10 per cento del fatturato totale annuo, con l’indicazione comunque di un tetto massimo, oltre alla confisca del prodotto illecito. Si prevedono ulteriori sanzioni amministrative che intervengono sulla possibilità di svolgere attività di impresa, inibendo l’accesso a contributi, finanziamenti o agevolazioni erogati da parte dello Stato, da altri enti pubblici o dall’Unione europea, per un periodo da uno a tre anni”.
In questo modo, come spiegato dal ministro dell'Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, “l'Italia diventa la prima nazione al mondo a dire no agli alimenti sintetici".
È davvero così? Non proprio. La carne sintetica dovrebbe rientrare tra i novel food, per i quali in Ue è richiesta approvazione da parte dell’Efsa. Se così dovesse accadere, in base alle regole comunitarie della libera circolazione dei beni e dei servizi, l’Italia non potrebbe opporsi alla loro importazione e distribuzione. Un po’ come succede per la soia geneticamente modificata: produzione vietata, ma ne importiamo circa 10 mila tonnellate al giorno.

Abbiamo chiesto un commento a Pasquale Strazzullo, già ordinario di Medicina interna dell’Università Federico II di Napoli e Presidente della Società italiana di nutrizione umana (Sinu):

“La produzione di carne a partire da cellule animali coltivate in vitro, grazie a tecnologie ormai abbastanza diffuse, è in continua crescita ormai da diversi anni. Sono oltre un centinaio le aziende produttrici in America, Asia, Australia ed Europa, con costi di produzione per chilo di prodotto diminuiti di oltre 10 mila volte rispetto agli esordi, per quanto ancora superiori al costo dell’analogo prodotto consumato comunemente. Per quanto non vi sia, a oggi, riscontro documentato di gravi effetti dannosi per la salute dell’uomo, è vero che sono necessari ancora molti studi per accertarne definitivamente l’innocuità e per definirne compiutamente il valore nutrizionale rispetto alla carne ottenuta dalla macellazione dell’animale: per quanto i due tipi di carne abbiano una composizione abbastanza simile per contenuto di energia, proteine e grassi, non c’è tuttora corrispondenza riguardo quello in micronutrienti e composti bioattivi, sostanze che l’animale, specie se al pascolo, acquisisce in misura diversa in relazione al territorio e all’ambiente, incorporandole ed eventualmente trasformandole nel proprio organismo. Lo stesso per i caratteri organolettici, in particolare l’aroma, il sapore, la consistenza. Inoltre, vi sono importanti lacune da colmare per le conoscenze riguardo la digeribilità, il metabolismo e le interazioni con il microbiota intestinale. Dunque, c’è molto da lavorare prima che le istituzioni preposte alla verifica del valore e della sicurezza degli alimenti possano esprimere un parere definitivo al riguardo. La domanda, però, è: perché no? Perché si dovrebbe negare la possibilità di arrivare allo sviluppo di un prodotto che alla fine del processo sia sostanzialmente equivalente a quello ottenuto attraverso il tipo di allevamento tradizionale, anzi più sicuro per l’assenza di antibiotici e pesticidi, meno costoso, maggiormente sostenibile riguardo l’impatto climatico e compatibile con l'obiettivo di abolire ogni forma di violenza e sfruttamento sugli animali? Certamente questo tipo di sviluppo potrebbe avere ricadute importanti sull’economia, sull’impresa e l’occupazione nei settori interessati: spetta ai governi e alle istituzioni in generale affrontare le relative problematiche avvalendosi di lungimiranza e competenza, laddove la chiusura pregiudiziale alla ricerca in un settore così innovativo non può che condurre a ulteriori penalizzazioni rispetto ad altri Paesi. Infine, dobbiamo chiederci se un simile approccio sia in contrasto con il concetto e la tutela della dieta Mediterranea. La risposta è assolutamente no. Un elevato consumo di carne, di qualunque tipo, è estraneo alla tradizione mediterranea e, allo stato attuale delle conoscenze, costituisce un rischio per la salute. È opportuno quindi, a preferenza delle battaglie di retroguardia, favorire il più possibile la produzione di alimenti ricchi di proteine vegetali, legumi in primo luogo, il cui consumo, pur rientrando pienamente nel solco della tradizione mediterranea, è oggi troppo basso”.  

Nicola Miglino

Top
Questo sito utilizza i cookies, che consentono di ottimizzarne le prestazioni e di offrire una migliore esperienza all'utente. More details…