Queste le conclusioni di un panel di esperti Efsa (European food safety agency), sollecitata dalla Commissione europea, che ha appena pubblicato una propria valutazione delle evidenze scientifiche in rapporto a salute dei lattanti, esigenze nutrizionali e sviluppo.
Secondo i dati disponibili, non c’è un’età stabilita, ovvero, sottolineano gli autori, non vi sono evidenze di particolari danni o benefici di uno svezzamento prima di sei mesi. L’importante è che si tratti di cibi con valori nutrizionali adeguati, preparati secondo corrette norme igieniche e che non determinino rischi per la sicurezza del neonato, quali per esempio il soffocamento.
La maggior parte dei bambini, si ribadisce, non ha bisogno di alimentazione complementare prima dei 6 mesi di età. Neonati a rischio di deplezione di ferro (per esempio perché allattati al seno da madri con basso stato di ferro, o con taglio precoce del cordone ombelicale o nati prematuri), possono però trarre beneficio da un’alimentazione ricca in ferro complementare all’allattamento.
I neonati sono in grado di assumere cibi sottoforma di purea già a 3-4 mesi di età e finger food tra i 5 e i 7. Ciò, comunque, non implica una necessità di farlo, ribadiscono gli autori.
Non vi è motivo, infine, di rimandare l'introduzione di alimenti potenzialmente allergenici (uova, cereali, pesce e arachidi) a un'età successiva rispetto a quella di altri cibi per quanto riguarda il rischio di sviluppare malattie atopiche. Lo stesso vale, concludono, per il glutine e il rischio celiachia.