"A prima vista, l'affermazione dello studio sembra contradditoria", ha affermato Robert Wagner, capo del Centro di studi clinici presso il Centro tedesco per il diabete-Centro Leibniz per la ricerca sul diabete all'Università Heinrich Heine di Düsseldorf. "Tuttavia, l'intolleranza al lattosio ha diverse manifestazioni. Gli individui colpiti meno gravemente spesso consumano latte e tollerano disturbi come gonfiore o dolore addominale. È proprio in questi individui che lo studio mostra una minore incidenza di diabete associata al consumo di latte".
Gli autori, guidati da Kai Luo, ricercatore presso il Dipartimento di Epidemiologia e Salute della Popolazione presso l'Albert Einstein College of Medicine nel Bronx, New York, hanno diviso la popolazione dello studio in partecipanti lattasi-persistenti e non-lattasi-persistenti.
"Il fatto di non essere persistente alla lattasi non esclude necessariamente la possibilità di consumare una certa quantità di lattosio”, sottolinea Lonneke Janssen Duijghuijsen, nutrizionista presso l'Università di Wageningen, nei Paesi Bassi. “Gli studi hanno dimostrato che molte persone prive di lattasi possono comunque consumare fino a 12 g di lattosio al giorno, equivalenti alla quantità contenuta in un grande bicchiere di latte, senza manifestare sintomi di intolleranza".
I ricercatori hanno analizzato i dati di 12.653 partecipanti all’Hispanic community health study/study of latinos, uno studio prospettico di coorte in corso, che coinvolge adulti con background ispanico e che raccoglie informazioni dettagliate sull'alimentazione e sull'insorgenza di malattie.
Gli autori hanno esaminato se i partecipanti allo studio erano lattasi-persistenti o non-lattasi-persistenti e con quale frequenza consumavano latte. Hanno anche analizzato il microbiota intestinale e vari metaboliti nel sangue per un periodo di follow-up mediano di sei anni.
L’analisi dei dati ha mostrato che un maggiore consumo di latte nei partecipanti non lattasi-persistenti è associato a un rischio ridotto di circa il 30% per il diabete di tipo 2. Un consumo maggiore di latte era correlato non solo a un minor rischio di diabete negli individui non lattasi-persistenti, ma anche a un indice di massa corporea inferiore e questo potrebbe essere uno dei fattori alla base della protezione del diabete.
L’aumento del consumo di latte è stato anche associato a cambiamenti nel microbiota intestinale. Per esempio, si è verificato un arricchimento di Bifidobacterium, mentre la Prevotella è diminuita. Sono stati osservati anche cambiamenti nei metaboliti circolanti nel sangue, come un aumento dell’indolo-3-propionato e una diminuzione degli aminoacidi a catena ramificata.
Questi metaboliti, hanno ipotizzato gli autori, potrebbero essere prodotti più intensamente da batteri associati al latte ed essere causalmente correlati all’associazione tra il consumo di latte e la riduzione del rischio di diabete di tipo 2 negli individui non lattasi-persistenti. Un possibile mediatore di questi effetti potrebbero essere gli acidi grassi a catena corta, in grado di influenzare direttamente o indirettamente l'appetito, l'azione dell'insulina o il grasso epatico.
In conclusione, il consumo di latte può influenzare la composizione del microbiota e quindi il profilo metabolico, soprattutto negli individui non lattasi-persistenti. I soggetti lattasi-persistenti digeriscono in modo efficiente il lattosio e assorbono le molecole di galattosio e glucosio risultanti nell'intestino tenue. Al contrario, negli individui non lattasi-persistenti, l’enzima non è espresso nell'orletto a spazzola dell'intestino tenue e, di conseguenza, il lattosio permane indigerito nel colon dove può servire come fonte di energia per i batteri intestinali. Ciò può influenzare la composizione del microbiota, che, a sua volta, può alterare la concentrazione dei metaboliti circolanti.
Elisabetta Torretta