L’obiettivo primario era quello di verificare se soggetti portatori di una variante del gene Cyp1A2, che determina una minore capacità dell’organismo di metabolizzare la caffeina, avessero un maggior rischio di ipertensione e malattia cardiovascolare. Sono così andati a verificare la quantità di caffè che aumenterebbe il rischio con e senza questa variante genetica. Per scoprirlo, hanno analizzato i dati di 347.077 persone tra i 37 e i 73 anni, afferenti al database UK Biobank, di cui 8.368 con diagnosi di malattia cardiovascolare.
La prima scoperta è stata che, nonostante chi non presentasse la variante genetica Cyp1A2 fosse in grado di metabolizzare la caffeina quattro volte più velocemente, questo non sembrava influenzare significativamente il rischio cardiovascolare, a differenza, invece, della quantità di caffè giornaliera assunta.
Infatti, si è registrato un modesto ma significativo aumento del rischio tra quanti consumavano 6 o più tazze di caffè al giorno, dove per tazza si intendeva una bevanda contenente 75 mg di caffeina. La cosa interessante è che il rischio aumentava anche tra non bevitori o quanti assumevano decaffeinati, il che indicherebbe, entro certe dosi, un ruolo protettivo della caffeina.
"Si stima che ogni giorno, nel mondo, su consumino circa 3 miliardi di tazze di caffè”, spiega Elina Hyppönen, co-autrice dello studio. “Pe questo motivo è fondamentale conoscere i limiti di consumo e il nostro studio indica che sei tazze di caffè al giorno rappresentano la soglia oltre la quale la caffeina può incidere negativamente sul rischio cardiovascolare”.