Ne abbiamo parlato con Luigia Brugliera, Medico Fisiatra, Responsabile UO Riabilitazione Specialistica Motoria al San Raffaele.
D.ssa Brugliera, qual è l’incidenza di anosmia e ageusia tra i sintomi Covid-19?
Il Covid-19 può manifestarsi anche, o unicamente, con un’improvvisa e completa perdita dell’olfatto, cosiddetta anosmia, ovvero incapacità di sentire e riconoscere gli odori, a volte associata alla perdita del gusto, ageusia o disgeusia. Anosmia e ageusia sono quindi una spia di malattia.
L'assenza di olfatto, il non riuscire a sentire che sapore abbia ciò che stiamo mangiando, non è un segnale pericoloso, ma neanche da sottovalutare. Si tratta di sintomi che andrebbero valorizzati per la diagnosi precoce o per la diagnosi dei tanti casi paucisintomatici o asintomatici che contribuiscono alla diffusione del contagio. Dagli studi scientifici pubblicati finora emerge che l’anosmia è stata riscontrata più spesso nei pazienti occidentali, dove l’incidenza potrebbe essere del 30%, che nei cinesi. La prevalenza del sintomo nella popolazione europea o americana appare nettamente diversa da quella cinese. Questo potrebbe far pensare a una mutazione del virus oppure potrebbe dipendere dal fatto che gli europei abbiano, rispetto ai cinesi, una maggior concentrazione di recettori Ace2, la porta d’ingresso del virus, a livello dell’epitelio olfattivo.
Ci può definire i sintomi descritti dai pazienti? Non sentono assolutamente più alcun sapore/odore?
La maggior parte riferisce completa perdita dell'olfatto: solo in un numero ridotto è riferita perdita parziale e conservata percezione degli odori più intensi. I pazienti che hanno manifestato anosmia o iposmia grave possono descrivere una perdita di gusto ma sono ancora in grado di rilevare zucchero, sale o acido sulla lingua. Ciò che hanno perso è il contributo dell'olfatto alla loro percezione del sapore. Prevediamo che nella maggior parte dei casi, la perdita di gusto segnalata dai pazienti Covid-19 è probabilmente dovuta a una ridotta o assente capacità di sentire l'odore. L’olfatto, quindi, diventa un settore di studio fondamentale per comprendere quanto accade in caso di Covid-19 e per sviluppare strategie mirate per contrastare i deficit che si possono verificare in chi ne soffre.
Sono colpiti più gli uomini o le donne?
Le donne presentano alterazioni dell’olfatto e del gusto molto più frequentemente degli uomini e i pazienti con questi sintomi sono in media più giovani. Per indagare il perché della maggiore incidenza nelle donne, sono stati condotti e continuano a essere in corso diversi protocolli di studio. L’ultimo, in ordine di tempo, viene dall’Università di Padova, realizzato in collaborazione con ricercatori britannici. Lo studio è stato condotto su 202 pazienti Covid-19 in forma lieve-moderata e in isolamento domiciliare. Il 64,4% di loro riferiva perdita dell’olfatto e del gusto. Più colpite da questo sintomo sono risultate le donne, 3 su 4, rispetto agli uomini, poco più della metà dei pazienti).
Esistono ipotesi o evidenze sui meccanismi fisiopatogenetici per cui l’infezione porta a quei sintomi?
I disordini di gusto e olfatto sono patologie storicamente difficili da diagnosticare. Si possono distinguere due tipi di anosmia/iposmia: una forma trasmissiva, ovvero collegata a un blocco funzionale nelle vie di accesso dello stimolo olfattivo alle cellule sensitive e una neurosensoriale, ovvero collegata a una lesione funzionale o organica che interessa direttamente il neuroepitelio olfattivo. Il meccanismo più frequente alla base dell’anosmia da Covid-19 sembra essere una lesione neurale, a carico dell’epitelio olfattivo; il virus penetra cioè nella cellula attraverso i recettori Ace2 e la distrugge, dando una lesione olfattiva importante. L’epitelio olfattivo, infatti, ospita anche terminazioni del nervo trigemino, attraverso le quali il virus potrebbe guadagnare l’accesso all’encefalo. La spiegazione della perdita di olfatto e gusto andrebbe ricercata secondo altri esperti anche nel fatto che il coronavirus riesce a penetrare nei neuroni del bulbo olfattivo, che hanno le terminazioni nervose nel naso dove catturano le molecole odorose per trasmetterne poi ‘notizia’ alla corteccia cerebrale, che le riconosce come appartenenti a una fonte specifica, e che le cellule che rivestono la mucosa della bocca sono molto ricche di recettori Ace2, la porta d’ingresso che consente l’ingresso del virus nelle cellule.
Dalla sua esperienza, quanto possono persistere? Anche dopo la guarigione clinica?
Solitamente i sintomi durano per tutta la fase di malattia, la regressione si registra nei più a guarigione clinica avvenuta, in altri casi persiste anche dopo. Al momento non siamo in grado di definire con precisione la durata esatta, sono in corso diversi studi che stanno valutando questo aspetto.
Nei vostri programmi di riabilitazione, affrontate anche questi aspetti?
Nella nostra unità di riabilitazione Covid, un team multidisciplinare valuta anche questi importanti sintomi e, dove necessario, si avvia uno specifico programma di riabilitazione. A oggi, infatti, l'unica terapia che si è dimostrata efficace nel migliorare le performance olfattorie dopo anosmia post virale è la riabilitazione o training olfattorio. Nella fase valutativa vengono utilizzati Sniffin' Sticks, delle penne profumate che permettono di ricavare un valore numerico che indica il grado di compromissione dell'olfatto. Nella fase successiva di riabilitazione o allenamento olfattivo il soggetto si sottopone di media due volte al giorno all'esposizione e all'annusamento di odori ad alta concentrazione. Questa metodica, che può avere diversi schemi terapeutici, ha numerose evidenze di stimolare un recupero dell'olfatto nelle forme post virali se effettuata in una fase precoce.
La mancanza di gusto e olfatto incide sull’alimentazione dei pazienti?
Non percepire gli odori e i sapori determina uno stato di frustrazione e molto frequentemente inappetenza. In molti pazienti il rifiuto del cibo è da correlare a una severa sindrome ansioso-depressiva innescata dalla malattia e dal lungo periodo di ospedalizzazione. La ventilazione inoltre, alla quale sono sottoposti molti dei pazienti Covid, determinando secchezza delle muscose porta molto spesso a perdita dell’appetito.
Come trattate gli aspetti legati a malnutrizione?
A gestire le problematiche legate all’alimentazione dei pazienti Covid, è un nutrizionista che fa parte del nostro team. La prevenzione, la diagnosi e il trattamento della malnutrizione devono pertanto essere regolarmente inclusi nella gestione dei pazienti affetti da Covid-19 ricoverati presso il reparto di riabilitazione, al fine di migliorare la prognosi sia a breve sia a lungo termine. Presso la nostra riabilitazione, abbiamo previsto una gestione interdisciplinare e integrata dello stato nutrizionale del paziente in un programma di valutazione, impostazione della dieta e monitoraggio secondo i più recenti dati forniti dalla letteratura sulla gestione nutrizionale dei pazienti con infezione da Sars-CcoV-2. Si segnala collateralmente la necessità di una personalizzata e precoce presa in carico logopedica per l’esecuzione di un percorso riabilitativo mirato della funzione deglutitoria in modo da evitare carenze nutrizionali indotte dalla disfagia e un protratto deficit di questa funzione vitale anche a lungo termine. L’alimentazione è un fattore determinante per la salute. Sottovalutare l’importanza della nutrizione nei pazienti Covid-19 è un errore la cui mancata risoluzione può determinare l’outcome di questi pazienti e rendere meno efficaci le procedure di cure intensive indotti dalle complicanze dell’infezione. Al fine di sottolineare l’importanza di questo aspetto, abbiamo recentemente pubblicato un lavoro dal titolo Nutritional management of Covid-19 patients in a rehabilitation unit su una rivista internazionale, in corso di stampa.
Nicola Miglino