A coordinare il lavoro, Claudia D’Alessandro, nutrizionista presso l’Unità di Nefrologia, trapianto e dialisi del dipartimento di Medicina clinica e sperimentale dell’Università di Pisa.
D.ssa D’Alessandro, da dove nasce l’esigenza della vostra analisi?
L’esigenza di questa review nasce fondamentalmente da due considerazioni. La prima è che, nel nostro ambulatorio, ci occupiamo di pazienti affetti da patologia croniche, come diabete, insufficienza renale cronica in trattamento conservativo e sostitutivo, ovvero dialisi e trapianto, dove la terapia dietetico- nutrizionale svolge un ruolo fondamentale e il carico di farmaci assunti è significativo. In secondo luogo, dalla crescita delle richieste da parte dei pazienti di poter utilizzare prodotti erboristici anche in sostituzione della terapia farmacologia convenzionale.
Ci fa degli esempi dei principali rischi di interazione tra farmaci e stato nutrizionale nel paziente nefropatico?
Tra farmaci prescritti precocemente ai pazienti con malattia renale cronica sicuramente vanno annoverati gli Ace-inibitori e i Sartani che, oltre all’effetto antipertensivo e anti-proteinurico, svolgono un’azione protettiva sul rene. Si tratta di farmaci “sensibili” al sale, per cui eccessivo consumo di quest’ultimo, piuttosto che di alimenti che lo contengono, quali, per esempio, cibi conservati, salumi e formaggi, può ridurre l’efficacia del trattamento. Un altro esempio ampiamente noto è l’azione di componenti del pompelmo sui farmaci, e sono molti, metabolizzati da un’isoforma del Cit P450. Tra questi gli immunosoppressori.
Ancora, va ricordata l'interazione tra alimenti contenenti vitamina K e farmaci che contengono warfarin come principio attivo: in questo caso il numero di pazienti interessato è ancora più ampio.
Infine, non possiamo non citare l’interazione tra gli aminoacidi della dieta e la dopamina, utilizzata nel trattamento per il morbo di Parkinson: competono per lo stesso recettore per cui assumere dopamina a ridosso di un pasto contenente alimenti fonti di proteine può ridurre l’assorbimento del principio attivo e ridurne significativamente l’effetto.
Sotto questo profilo, che ruolo possono giocare i botanicals?
L’uso dei prodotti erboristici e di fitoterapici si sta diffondendo ampiamente. I pazienti vedono questi prodotti come qualcosa di meno aggressivo e di più naturale rispetto al farmaco convenzionale per cui spesso chiedono di poterli sostituire ai farmaci che stanno assumendo o, peggio ancora, li assumono senza chiedere un giudizio specialistico. Spesso non lo comunicano ai medici che li hanno in cura proprio perché li considerano prodotti naturali e ne trascurano il potere terapeutico o l’interferenza con altri farmaci. Un esempio è l’interazione tra erba di san Giovanni, o iperico, con i farmaci immunosoppressori.
Quali, dunque, le principali avvertenze di cui tenere conto da parte di un nutrizionista in questi casi?
Complessivamente i rischi principali a seconda del tipo di interazione sono due: da una parte, il farmaco, dopo aver agito, non viene inattivato per essere eliminato per cui i livelli ematici del principio attivo rimangono elevati, determinando un accumulo che può portare a tossicità; dall’altra, il farmaco, in seguito all’interazione con alimento/prodotto fitoterapico, non funziona per cui non abbiamo l’effetto atteso. Attenzione, però. Finora abbiamo parlato di come alimenti o fitoterapici possono agire sull’azione di un farmaco ma dobbiamo ricordare anche la situazione opposta: alcuni farmaci possono influenzare lo stato di nutrizione, per esempio aumentando l’appetito oppure riducendolo. Quindi, è di estrema importanza che il nutrizionista/dietista nella sua valutazione esegua un’accurata anamnesi dei farmaci che il paziente assume, ma anche di integratori, prodotti erboristici, tisane, oli essenziali in modo da poter fornire indicazioni dietetiche appropriate al fine di prevenire interazioni che potrebbero influenzare l’azione di farmaci o lo stato di nutrizione.
Nicola Miglino