Secondo gli Autori, non bisogna superare il 22% di calorie provenienti da proteine, altrimenti si innesca un processo aterogeno provocato dai macrofagi.
In sostanza, il lavoro ha dimostrato che consumare più del 22% delle calorie alimentari giornaliere attraverso le proteine può influenzare negativamente i macrofagi responsabili dell'eliminazione dei detriti cellulari, portando a un accumulo all'interno delle pareti dei vasi con formazione e progressione della placca aterosclerotica. Tra gli aminoacidi chiamati in causa, la leucina, presente, soprattutto, in alimenti di origine animale, che sembra svolgere un ruolo chiave in questo processo degenerativo.
“Non è un dato di poco conto se si pensa, per esempio, che negli Stati Uniti quasi un quarto della popolazione ricava oltre il 22% delle calorie giornaliere dalle proteine”, sottolineano gli Autori. "Il nostro studio mostra che aumentare l'apporto proteico nel tentativo di migliorare la salute metabolica non è la panacea di tutti i mali. Anzi: rischiamo di danneggiare le arterie. La speranza è che questa ricerca avvii una riflessione sulle modalità più indicate per modificare la nostra dieta e influenzare positivamente il metabolismo”.
Rimangono, però, a loro giudizio, alcune questioni aperte, a partire dall’analisi di quanto può accadere per un apporto calorico da proteine tra il 15 e il 22%, range raccomandato dalle linee guida. In sostanza, quale sia il giusto equilibrio tra effetti salutari e rischio cardiovascolare.
Di certo, sottolineano, i risultati sono particolarmente rilevanti in ambito ospedaliero, dove i nutrizionisti spesso raccomandano alimenti ricchi di proteine ai pazienti più fragili per preservare la massa e la forza muscolare. "Forse – dicono - aumentare ciecamente il carico proteico è sbagliato, mentre sarebbe importante considerare la dieta nel suo insieme e suggerire pasti equilibrati, soprattutto in chi è a rischio di malattie cardiache e disturbi vascolari". E aggiungono: “Da non trascurare, infine, il diverso apporto di leucina tra diete a base animale e vegetale, che potrebbe spiegare il differente impatto cardiometabolico correlato”.
Nicola Miglino