Vitamina D nella prevenzione del diabete: studio su Bmj apre a nuovi scenari

31 Maggio 2022

Trattare soggetti pre-diabetici con una supplementazione di vitamina D non aiuta a rallentare la progressione verso la malattia, ma può essere utile in chi presenta un’insufficiente secrezione di insulina. Queste le conclusioni di uno studio giapponese da poco pubblicato sul British medical journal che ha voluto fare chiarezza su un tema, quello della correlazione tra deficit di vitamina D e comparsa di diabete, sul quale le evidenze scientifiche sono ancora piuttosto controverse.

Nella ricerca sono stati coinvolti 1.256 soggetti, con alterata tolleranza al glucosio o Igt (Impaired glucose tolerance), una condizione di pre-diabete in cui la glicemia, dopo due ore dal carico orale con 75 grammi di glucosio, assume valori compresi tra i 140 mg/dl ed i 200 mg/dl.

L’età media era di 61 anni, il 46% era costituito da donne e il 59% aveva una storia familiare di diabete.

I partecipanti sono stati randomizzati, in doppio cieco, a ricevere 75µg/die di eldecalcitolo, un analogo della vitamina D usato in Giappone per prevenzione e trattamento dell’osteoporosi, o placebo. Ogni tre mesi, per tre anni, sono stati controllati al fine di verificare l’eventuale progressione verso il diabete piuttosto che una regressione dell’alterata glicemia.

I risultati finali non indicano alcuna differenza significativa tra i due gruppi né sulla comparsa di diabete (12,5% nel gruppo eldecalcitolo vs. 14% del placebo), né sul ritorno a una glicemia normale (23% vs 20%).

Dopo aggiustamento per diversi fattori (età, sesso, pressione arteriosa, Bmi, storia familiare di diabete) è però emerso un dato interessante, ovvero una protezione dall’evoluzione verso il diabete che la supplementazione sembra garantire nei pre-diabetici con insufficiente secrezione di insulina.

In aggiunta, le analisi hanno evidenziato un significativo aumento della densità minerale ossea a livello lombo-sacrale e dell’anca in chi aveva ricevuto l’integrazione. Nessuna differenza tra i due gruppi in termini di effetti collaterali.

Tra i limiti riconosciuti dagli autori, il dosaggio di 75µg/die eldecalcitolo, specifico per l’osteoporosi, ma ampiezza del campione e follow-up, sottolineano, danno garanzia di solidità ai risultati.

Così, in un editoriale di commento, Tatiana Christides, della Queen Mary University di Londra: “Ci sembrano risultati coerenti con quelli di altri studi e che, comunque, lasciano aperte diverse questioni che andranno indagate nel prossimo futuro, a partire dall’individuazioni di popolazioni selezionate che potrebbero beneficiare dell’integrazione, piuttosto che dei dosaggi, della durata di trattamento e dell’età di inizio più appropriati”.

Nicola Miglino

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