Si tratta di una molecola fondamentale per il benessere del sistema nervoso centrale, grazie alla sua azione sul sistema degli endocannabinoidi, coinvolto in funzioni essenziali come la memoria, il dolore, l’umore, l’appetito e la risposta allo stress.
La Pea aumenta inizialmente in modo naturale nei pazienti con psicosi, per compensare le alterazioni connesse alla malattia e si è rivelata un biomarcatore precoce molto importante. Nel lungo periodo, però, la compensazione diventa impossibile e i livelli di Pea endogena si riducono, aprendo la strada alla supplementazione, che nell’uomo ha già dimostrato di ridurre i sintomi psicotici e maniacali senza effetti collaterali gravi.
La Pea, i cui livelli tendono a diminuire con l’età, protegge i neuroni e sembra poter migliorare memoria, linguaggio e funzionalità cognitiva nelle attività della vita quotidiana.
“Il sistema degli endocannabinoidi è coinvolto, assieme al sistema infiammatorio, nello sviluppo di vari disturbi psichiatrici e in particolare della psicosi”, spiega Matteo Balestrieri, direttore della Clinica psichiatrica dell’Azienda sanitaria universitaria di Udine, Co-Presidente Sinpf e autore delle due recenti revisioni degli studi sulla Pea. “La neuropsicofarmacologia di precisione, oggi, mira, perciò, a individuare sostanze che modulino proprio il sistema endocannabinoide e che possano rivelarsi più tollerabili dei farmaci attualmente disponibili. Un candidato che si sta mostrando interessante è la Pea, che non è un endocannabinoide, non si lega ai recettori per gli endocannabinoidi ma influenza il sistema con il cosiddetto effetto entourage, ovvero potenzia l’azione degli endocannabinoidi naturali, aumentandone i livelli o riducendone la degradazione ed è perciò in grado di avere effetti sulle funzioni regolate dagli endocannabinoidi come la risposta al dolore o la comparsa di sintomi della psicosi”.
Come testimoniato dai lavori del gruppo di ricerca di Udine coordinato da Marco Colizzi, leader italiano in questo campo, gli studi preclinici e soprattutto clinici sulla Pea e psicosi testimoniano che i livelli di questa sostanza nel plasma aumentano nelle fasi iniziali di malattia e in maniera proporzionale alla sua gravità.
“La Pea - prosegue Balestrieri - si sta rivelando un utile biomarcatore precoce di psicosi. Poiché questo incremento delle quantità della sostanza, che ha probabilmente lo scopo di compensare le alterazioni connesse alla patologia, non viene mantenuto nel lungo periodo, si è ipotizzato che un’integrazione nei pazienti possa essere positiva: i dati raccolti in tre studi clinici confermano che l’associazione alle consuete terapie può ridurre i sintomi psicotici e maniacali, senza indurre eventi avversi gravi”.
Pea, che appartiene alla classe delle ammidi degli acidi grassi, è una sostanza naturale, prodotto dal nostro organismo e che si trova anche in cibi come uova, piselli, pomodori e soia.
Durante il convegno sono state discusse anche le ricerche su Pea e disturbi cognitivi: “Il declino cognitivo è correlato a processi di neurodegenerazione indotti da danni vascolari, ossidativi, infiammatori che l’organismo cerca di contrastare producendo molecole lipidiche, fra cui Pea, nel tentativo di ripristinare gli equilibri e prevenire ulteriori danni”, aggiunge Claudio Mencacci, Co-Presidente Sinpf e direttore emerito di Neuroscienze all’Ospedale Fatebenefratelli-Sacco di Milano. “Le ricerche hanno dimostrato che la Pea ha le potenzialità per proteggere i neuroni: gli studi su modelli animali mostrano che, soprattutto grazie alla sua interazione col sistema endocannabinoide, può migliorare funzioni come la memoria e l’apprendimento riducendo lo stress ossidativo, l’espressione di marcatori pro-infiammatori e riequilibrando la trasmissione eccitatoria cerebrale”.
Si è osservato che può anche favorire la produzione di nuovi neuroni in alcune aree decisive per la memoria come l’ippocampo. Inoltre può migliorarne la vitalità e sopravvivenza.
“Tutti assieme, questi dati suggeriscono che un’integrazione di Pea abbia le potenzialità per rallentare il decorso di disturbi neurocognitivi”, conclude Mencacci. “Appare cioè in grado di ridurre affaticamento e deterioramento cognitivo, migliorando la funzione esecutiva globale nelle attività quotidiane, la memoria, i deficit di linguaggio. La ricerca dovrà confermare queste ipotesi, ma è possibile che un’integrazione di Pea possa, in futuro, aiutare a prevenire i disturbi neurodegenerativi e potenziare i processi di riparazione che l’organismo mette in atto per rallentarne la progressione”.
Elisabetta Torretta