Prof. Cicero, primo congresso in presenza post pandemia: da dove siete ripartiti?
A dir la verità, Sinut non si è mai fermata. Abbiamo, però, cercato di ripercorrere le tematiche classiche del nostro congresso con un occhio al prossimo futuro. In particolare, abbiamo cercato di proporre un'analisi di come stia cambiando, in meglio, la tipologia di prodotti nutraceutici proposti dal mercato, di come la nutraceutica possa diventare un supporto per il nostro sistema sanitario e di quali sono le principali novità emerse negli ultimi due anni.
Quanto ha inciso Covid-19 nei temi di discussione al Congresso e in che modo?
In realtà la scelta del comitato scientifico del Congresso è stata di evitare quanto più possibile riferimenti diretti al Covid. È ovvio che questa pandemia non poteva lasciarci totalmente estranei, anche perché sappiamo come il lockdown abbia influito negativamente su numerosi fattori di rischio cardiometabolici e sul tono dell'umore, settori potenzialmente aggredibili da approcci nutraceutici.
Ci racconta le novità più importanti emerse dal convegno?
Durante il convegno sono stati toccati diversi argomenti "nuovi". È stata data grande enfasi alla gestione nutraceutica della pressione normale-alta, all'effetto di probiotici specifici sull'assetto lipidico, all'azione immunostimolante degli estratti di melograno, al razionale di impiego della nutraceutica per la gestione di condizioni infiammatorie e dolorose. Il punto principale è la necessità di utilizzare sempre materie prime selezionate e combinazioni di ingredienti basate su razionale farmacologico. Inoltre, risulta sempre fondamentale il test clinico dei prodotti assemblati per verificarne tollerabilità ed efficacia.
Qual è lo stato di salute della nutraceutica oggi in Italia?
Direi assolutamente buono. Ovviamente il mercato dei prodotti di qualità ha subìto una leggera deflessione durante il Covid perché l'informazione medico scientifica si è bloccata. Tuttavia, le aziende del settore hanno retto in genere bene il colpo, alcune addirittura aumentando le proprie vendite, specie per quanto riguarda l'area sonno/disturbi dell'umore e immunomodulazione. Inoltre, molte aziende hanno utilizzato le fasi di stop per implementare la formazione del proprio personale e per pianificare e avviare ricerca e sviluppo di nuovi prodotti. Il made in Italy nel mondo della nutraceutica mantiene un suo importante appeal: i nostri prodotti sono visti come di alta qualità, sicuri e testati.
In questo ambito, che posizione occupa oggi la ricerca italiana rispetto al contesto internazionale?
La ricerca italiana è molto avanzata nell'ambito della nutraceutica. Al di là della ricerca spontanea, nonostante le difficoltà importanti poste dalla burocrazia e dai costi correlati, le aziende italiane investono in ricerca di base e clinica. In alcuni ambiti, la ricerca clinica nutraceutica è addirittura solo italiana. D'altronde investire in ricerca clinica da parte delle aziende significa avere un'idea più precisa, basata su dati reali, di quanto un prodotto formulato nel migliore dei modi abbia anche un effetto nel consumatore finale, coincidenza altrimenti presumibile, ma non scontata.
Quali le sfide ancora da vincere e come la nutraceutica, nel prossimo futuro, potrà contribuire al benessere delle persone, sulla base di evidenze comprovate?
La nutraceutica deve vincere alcune sfide complesse: la ricerca di un riconoscimento normativo moderno e funzionale e l'ulteriore implementazione della ricerca clinica di qualità con studi clinici randomizzati di media-lunga durata basati su outcomes precisi e divulgabili. I settori in cui nutriamo più speranza sono quelli cardiometabolico, psichiatrico, digestivo, e osteoarticolare. Dobbiamo però divulgare la cultura dell'approccio nutraceutico, che non si basa sull'assunzione spot di un integratore, salvo in casi super-specifici, ma che, in genere, richiede trattamenti di media-lunga durata, anche in cronico, con l'idea che, come per il farmaco, maggiori sono aderenza e persistenza in trattamento e maggiore sarà l'efficacia.
Nicola Miglino