La vicenda nasce in Svezia, ove il Tribunale per la proprietà intellettuale e il commercio si è trovato a dover decidere sulla legittimità di alcuni health claim riportati sulle etichette di integratori fabbricati dalla ditta Mezina AB a base di ingredienti vegetali, tra cui zenzero, rosa canina, boswellia, carciofo, tarassaco e mirtillo («la rosa canina può aiutare la funzionalità delle articolazioni», «il tarassaco può sostenere l’equilibrio del ph fisiologico e contribuire ad una normale funzione intestinale», ecc.).
Il giudice svedese ha quindi sottoposto la questione alla Corte di Giustizia attraverso domanda di pronuncia pregiudiziale riguardo all’applicazione ai prodotti del Regolamento Health Claims e della Direttiva 2005/29/CE sulle pratiche sleali, in modo da dirimere la controversia instauratasi tra l’azienda e l’Ufficio pubblico per la tutela dei consumatori (Konsumentombudsmannen).
In specie, mentre l’azienda avrebbe mancato di dimostrare tramite prove scientifiche e nuovi studi il contenuto di simili indicazioni, il Konsumantombudsmannen avrebbe fatto rientrare le stesse nel regime transitorio dell’art. 28 par. 5 del Regolamento, dal momento che la Commissione non si è ancora pronunciata sulle relative domande di iscrizione nell’elenco previsto dell’art. 13, benché risultassero inadempiute le condizioni e i limiti ad esse applicabili.
Già nel 2010 l’European health products manufacturers association aveva accusato l’Ombudsman europeo di gestire in maniera scorretta i dossier degli health claim sui botanical sicché apparve evidente che i fabbricanti di ingredienti naturali, erbe officinali e derivati lamentavano già da tempo l’assoggettamento a criteri non equi per la valutazione delle basi scientifiche delle indicazioni, a seconda del settore di appartenenza: procedura semplificata per i farmaci vegetali tradizionali e sistema più rigoroso per i farmaci convenzionali.
Ad oggi la situazione è ancor più complicata per il fatto che i giudici di Bruxelles hanno previsto per i claim fisiologici, cioè relativi a quei prodotti alimentari in grado di apportare un contributo significativo alla salute, pur non essendo farmaci, che siano basati anch’essi su prove scientifiche, allo stesso modo di quelli allusivi alla prevenzione dei fattori di rischio di malattia e allo sviluppo dei bambini.
Tornando alla decisione, la Corte di Giustizia ha pertanto disposto che “le indicazioni sulla salute devono essere scientificamente corroborate, tenendo conto del complesso dei dati scientifici disponibili e valutando gli elementi di prova”, attribuendo agli operatori economici del settore alimentare la responsabilità di apporre tali indicazioni sui propri prodotti, a norma dell’art. 28 del Reg. (UE) 1924/2006. In particolare, la Corte ha inteso riferirsi ad elementi obiettivi e scientifici (ossia opinioni sufficientemente accreditate presso la Comunità scientifica internazionale, in virtù di studi già noti o compiuti ex novo) in modo che “I vantaggi delle sostanze a cui tali indicazioni sulla salute si riferiscono godano (…) di un consenso scientifico sufficiente”. Rimane, invece, affidata all’apprezzamento dei giudici nazionali la disciplina dei tipi di prova e delle modalità di raccolta delle informazioni.
Tale decisione ha sicuramente ha messo un punto ad una situazione in cui il focus sulla salute del consumatore veniva alquanto a sbiadirsi. In una realtà caratterizzata da un evidente disinteresse verso un impegno costante e volto a garantire certezza del diritto a prodotti in fase di affermazione, è auspicabile un crescendo in questi interventi legislativi che portino all’unisono i livelli di tutela garantiti dal mondo farmaceutico ed alimentare.
Valentina Faziani, Regulatory affairs specialist, Imola (Bo); Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.