Secondo gli Autori, la diversità genetica delle piante utilizzate per la nostra alimentazione sta diminuendo.
Sono più di 7 mila le specie di piante commestibili per l’uomo, ma sono meno di 200 quelle utilizzate per la gran parte della produzione alimentare e solo nove di queste rappresentano oltre il 66% di tutta la produzione agricola. Il 90% dell'apporto energetico della popolazione mondiale proviene da sole 15 piante coltivate e più di quattro miliardi di persone dipendono solo da tre di queste: riso, grano e mais.
Gli autori riportano i dati preliminari di uno studio in corso su 7 mila cibi ultra-lavorati venduti nelle principali catene di supermercati brasiliani che rivelano come i nutrienti principali derivino in prevalenza da canna da zucchero, grano, mais e soia. Di conseguenza, le diete risultano poco diversificate, con cibi ultra-elaborati che vanno a sostituire gli alimenti freschi e non trattati, necessari per una dieta equilibrata e sana.
La produzione di alimenti ultra-processati spinge all’ utilizzo di ingredienti da poche specie vegetali ad alta resa (come mais, grano, soia e semi oleosi) e, oltretutto, gli ingredienti di origine animale derivano da animali nutriti con le stesse colture, senza trascurare il fatto che questo tipo di produzione alimentare utilizza grandi quantità di terra, acqua, energia, erbicidi e fertilizzanti, con conseguente impatto ambientale dovuto alle emissioni di gas serra e all'accumulo di rifiuti di imballaggio.
Gli autori così concludono: “La crescita nei consumi di alimenti ultra-lavorati continuerà a esercitare pressioni selettive negative sulla biodiversità delle specie vegetali disponibili per la nostra alimentazione. Bisogna che la comunità scientifica sollevi un dibattito pubblico per evidenziare il rischio di distruzione dell'agrobiodiversità causata dagli alimenti ultraprocessati, spingendo a favore di politiche di contrasto che rallentino questo processo, con il coinvolgimento di istituzioni e società civile”.
Nicola Miglino