Lo studio, di fase II, ha preso in esame un gruppo di 131 donne con carcinoma mammario HER-2 negativo allo stadio 2/3. Le partecipanti sono state assegnate a due gruppi: il primo ha seguito una dieta standard tre giorni prima e durante i sei cicli di chemioterapia adiuvante, ovvero quella eseguita dopo l’intervento allo scopo di ridurre il rischio di recidiva della malattia, ricevendo anche desometasone per il controllo degli effetti collaterali da chemio; il secondo, invece, ha seguito il regime mima-digiuno prima e durante la chemio per un totale di quattro giorni. Alle pazienti del secondo gruppo è stata assegnata una dieta di circa 1.200 kcal il primo giorno, ridotti poi a 200 kcal nei tre giorni successivi, derivate per l’80% da carboidrati complessi: 53 pazienti su 65 (81,5%) hanno completato il primo ciclo di Fmd, il 50% ne ha completati due, il 33,8% è arrivato a 3 cicli e il 20% ha completato 6 cicli.
Nel gruppo che aveva rispettato la restrizione, la malattia definita “stabile”o “progressiva” era marcatamente inferiore nel gruppo mima-digiuno rispetto a quello del controllo: l’11,3% contro 26,9%. Le pazienti che hanno seguito restrizioni per più cicli hanno mostrato una perdita di cellule tumorali tra il 90 e il 100% tre volte maggiore. In aggiunta, è emerso anche come la mima-digiuno protegga i linfociti T dai danni al Dna causati dalla chemio rendendoli quindi maggiormente disponibili nell’azione di attacco al tumore. Infine, non si è registrata maggiore tossicità della chemioterapia nelle pazienti che seguivano la mima-digiuno, rendendo quindi non necessario l’impiego del cortisonico.
“I risultati di questo studio per la prima volta ci confermano in clinica la sicurezza e l’efficacia della Fmd in aggiunta a chemioterapia in donne con tumore al seno”, sottolinea Valter Longo, direttore dell’Istituto sulla longevità all’University of Southern California, padre della mima-digiuno e una delle firme dello studio.
“L’effetto della restrizione calorica nel rallentare la crescita tumorale sembra legato alla cosiddetta resistenza differenziale allo stress: le cellule tumorali sono più sensibili al trattamento chemioterapico, mentre quelle sane sono protette dagli effetti collaterali che esso comporta. Questi dati, insieme a quelli preclinici, ci fanno ben sperare rispetto alla decina di trial in corso su centinaia di pazienti in diversi tipi di tumore”.
Così commenta Maurizio Muscaritoli, presidente della Società italiana di nutrizione clinica (Sinuc): “Si parla spesso del digiuno come strumento per affamare le cellule tumorali e migliorare l’efficacia delle terapie. L’argomento è particolarmente delicato e deve essere trattato da specialisti e con la massima attenzione e competenza: sappiamo infatti che il 65% dei pazienti presenta una condizione di malnutrizione, seppur variabile in gravità a seconda del tipo di tumore, già alla prima visita oncologica. I risultati di questa ricerca, per quanto estremamente preliminari, sono certamente interessanti e incoraggiano nuovi studi. L’avvertenza è che i risultati non siano usati al di fuori del contesto clinico e specialistico con tentativi e regimi improvvisati quanto pericolosi per la salute”.
Nicola Miglino