L’obiettivo dell’analisi era quello di determinare la prevalenza del deficit di 25(OH) vitamina D in un gruppo di 129 pazienti Covid-19 ricoverati tra marzo e aprile scorsi. Per ciascuno, entro 48 ore dal ricovero, sono stati misurati i livelli sierici di 25(OH) di vitamina D classificandoli in quattro categorie: normale (≥30 ng / mL), insufficiente (<30 - ≥20 ng/mL), deficit moderato (<20 - ≥10 ng / mL), deficit grave (<10 ng / mL).
Allo stesso tempo ne è stata valutata la correlazione con alcuni esiti clinici (polmonite severa, accesso in terapia intensiva, mortalità intraospedaliera) e marker biologici (conta dei linfociti, proteina C-reattiva, troponina I ad alta sensibilità, lattato deidrogenasi, Inr, D-dimero).
Per le categorie “insufficiente”, carenza “moderata” e “grave” la prevalenza è risultata, rispettivamente, del 13,2%, 22,5% e 54,3%, senza evidenziare differenze su parametri clinici e biologici.
Piuttosto, e con sorpresa, come sottolineano gli stessi Autori, dopo aggiustamento per fattori di confondimento si è notata una correlazione positiva tra aumento di livelli di vitamina D e mortalità intraospedaliera, il che pone l’accento sulla necessità di valutare la vitamina D anche in base allo stato infiammatorio, che, come noto dalla letteratura, è inversamente associato ai livelli plasmatici della stessa.
Il responsabile dello studio, Riccardo Caccialanza, direttore della Uoc di Dietetica e Nutrizione clinica del San Matteo sottolinea: “Non abbiamo i dati precedenti al ricovero e, come indichiamo nella discussione del lavoro, il rapporto causa-effetto potrebbe essere indagato solo grazie a studi interventistici, nei quali resta comunque importante valutare i livelli di vitamina D in relazione anche allo stato infiammatorio. Resta il dato interessante dei valori all'ingresso estremamente bassi, che è coerente con gli altri lavori disponibili in letteratura e va però contestualizzato nella nostra casistica, composta da pazienti con età media elevata e in condizioni mediamente severe. A breve analizzeremo i dati dello studio multicentrico italiano Nutri-Covid su circa 1.000 pazienti, da cui contiamo di ricavare altre evidenze utili”.
Nicola Miglino