Vitamina D, nuove linee guida per l’uso “empirico”

09 Settembre 2024

Uso empirico di vitamina D. Ovvero: quando e come integrare per raggiungere dosi superiori a quelle raccomandate o in assenza di test per la 25-idrossivitamina D (25[OH]D)? A questa domanda ha dato risposta l’Endocrine society con le nuove linee-guida pubblicate di recente sul Journal of clinical endocrinology & metabolism.

Come sottolineato dagli Autori, sono ormai numerosi gli studi che dimostrano un’associazione tra concentrazioni sieriche di (25[OH]D) e una varietà di disturbi comuni, tra cui malattie muscoloscheletriche, metaboliche, cardiovascolari, tumorali, autoimmuni e infettive. Sebbene non sia stato chiaramente stabilito un nesso causale, tali correlazioni stanno portando a un ampio ricorso alla supplementazione con vitamina D e a un aumento dei test di laboratorio per il suo dosaggio sierico nella popolazione generale. I benefici di questo comportamento non sono, però, così chiari. Da qui, la necessità di porre alcuni punti fermi, sulla base delle evidenze emerse in letteratura.

Il panel sconsiglia l'integrazione empirica di vitamina D oltre i valori raccomandati per ridurre il rischio di malattia negli adulti sani di età inferiore ai 75 anni, in assenza di indicazioni stabilite. Non è stata, inoltre, trovata alcuna prova a supporto dello screening di routine per 25(OH)D nella popolazione generale, né tra persone con obesità o carnagione scura.

Un’integrazione oltre al fabbisogno raccomandato, potrebbe invece avere senso in alcune specifiche categorie di popolazione, per le quali la letteratura dimostra in modo più chiaro una certa utilità:

  • soggetti di età compresa tra 1 e 18 anni, per prevenire il rachitismo nutrizionale e ridurre il rischio di infezioni del tratto respiratorio;
  • Anziani over 75, per ridurre il rischio di mortalità;
  • donne in gravidanza, per ridurre il rischio di preeclampsia, mortalità intrauterina, parto pretermine, nascita di neonati piccoli per l'età gestazionale e mortalità neonatale);
  • negli adulti con prediabete ad alto rischio (per ridurre la progressione verso il diabete).

Così commenta Marie B. Demay, docente di Medicina alla Harvard Medical School, e presidente del Panel che ha elaborato il documento: “Mancano prove da studi clinici randomizzati per rispondere a molte domande importanti in quest’ambito. C'è, infatti, una scarsità di dati sulla definizione dei livelli ottimali e sull’assunzione ottimale di vitamina D per prevenire malattie specifiche. Ciò di cui abbiamo realmente bisogno sono studi clinici su larga scala e biomarcatori in modo da poter prevedere l'esito della malattia prima che si verifichi".

Nicola Miglino

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