Un team di ricercatori delle Università di Oxford e Bristol ha analizzato i dati di quasi 55 mila partecipanti allo studio Epic-Oxford, una coorte di uomini e donne che vivono nel Regno Unito, reclutati tra il 1993 e il 2001.
L’Epic è uno studio prospettico, in cui la coorte presa in esame viene monitorata negli anni per capire come alcuni fattori, in questo caso la dieta, possano influenzare determinati esiti, nella fattispecie il rischio di frattura.
Dei 54.898 partecipanti, 29.380 mangiavano carne, 8.037 pesce ma non carne, 15.499 erano vegetariani e 1.982 erano vegani. Le loro abitudini alimentari sono state registrate al momento del reclutamento e poi, di nuovo, nel 2010.
Il periodo di monitoraggio sull’occorrenza di fratture è stato in media di 18 anni durante il quale si è registrato un totale di 3.941 fratture di cui 566 alle braccia, 889 al polso, 945 all’anca, 366 alle gambe, 520 alle caviglie e 467 tra clavicola, costole e vertebre.
Nei vegani il rischio generale di frattura si traduceva in 20 casi in più su 1.000 persone nell’arco di 10 anni rispetto a chi mangiava carne. Per quanto riguarda l’anca, vegani, vegetariani e pescetariani rischiavano rispettivamente 2,3, 1,25, 1,26 volte di più rispetto ai carnivori. Oltre a un rischio più elevato di fratture dell'anca, i vegani erano più a rischio anche per quanto riguarda gambe, vertebre, clavicola e costole. Nessuna differenza significative per quanto riguarda braccia, polso e caviglia. Il rischio si riduceva parzialmente dopo correzione per Bmi, apporto di calcio e proteine.
Tammy Tong, epidemiologo presso il Nuffield department of population health dell’Università di Oxford e coordinatore della ricerca: "Già studi precedenti hanno messo in evidenza come un basso indice di massa corporea si associ a un rischio più elevato di fratture dell'anca e come un basso apporto di calcio e proteine si correli a una cattiva salute delle ossa. La nostra analisi dimostra che i vegani, che in media presentavano un Bmi e un apporto di calcio e proteine inferiori rispetto a chi mangiava carne, presentano un rischio maggiore di fratture in diversi distretti corporei. Vero è che diete a base prevalentemente vegetale possono portare benefici a livello cardiometabolico, ma è bene che si tenga conto anche dei rischi e si badi al corretto apporto di calcio e proteine con un occhio attento al Bmi”.
Tra i limiti dello studio sottolineati dagli Autori, l’impossibilità, innanzitutto, di distinguere le fratture causate da una cattiva salute delle ossa da quelle determinate da incidenti. Non erano, inoltre, disponibili dati sull'uso di integratori di calcio e la popolazione era tipicamente caucasica non rendendo così possibile generalizzare rispetto agli effetti su etnie differenti.
“Riteniamo siano necessari ulteriori studi soprattutto su popolazioni extra-europee per esaminare la replicabilità dei nostri risultati e valutare l’incidenza di fattori quali età, sesso, menopausa e Bmi, prendendo in esame anche marker biologici quali livelli sierici di vitamina D, vitamina B12 o Igf-1 o valutando i possibili ruoli di altri nutrienti abbondanti negli alimenti di origine animale”.
Nicola Miglino