Il metodo utilizzato per elaborare le nuove linee guida è il cosiddetto Grade, una procedura complessa che ha l’obiettivo di ridurre al minimo l’influenza di opinioni personali, ragionamenti deduttivi e preferenze individuali, costringendo gli estensori ad attenersi molto strettamente alle evidenze derivanti da studi clinici di buona qualità, preferibilmente trial randomizzati.
Già al secondo capitolo vengono presi in esami aspetti legati all’alimentazione, a partire da una disamina sul confronto tra terapia nutrizionale strutturata (valutazione, diagnosi, intervento, monitoraggio nutrizionale) e indicazioni nutrizionali generiche.
La questione viene definita rilevante, dal momento che le raccomandazioni nutrizionali “sono solitamente una parte molto importante della pratica clinica e della gestione del paziente con diabete di tipo 2. L’impiego di programmi strutturati di intervento nutrizionale potrebbe, nel lungo termine, migliorare sensibilmente l’andamento e il controllo della malattia. Numerosi studi hanno mostrato l’effetto della terapia nutrizionale strutturata sugli outcome di salute, inclusi l’HbA1c e il peso corporeo”.
Il giudizio finale sull’intervento nutrizionale strutturato è di “effetti moderati di miglioramento” su HbA1c (- 0.45%) e Bmi (-2 Kg/m2). Così si legge: “Ci sono pochi trial, di scarsa qualità e con numero esiguo di pazienti che mostrano piccoli, ma significativi, miglioramenti del controllo glicemico e del peso corporeo con la terapia nutrizionale strutturata rispetto ai soli consigli nutrizionali. Non sono disponibili dati di efficacia e sicurezza nei soggetti ultrasettantacinquenni con diabete; inoltre, i pazienti con disturbi psichici o decadimento cognitivo potrebbero giovarsi maggiormente delle prescrizioni tradizionali di diete, che sono spesso attuate dai caregiver. I sanitari devono essere resi consapevoli dei vantaggi di un intervento nutrizionale strutturato. Per questo scopo sono utili programmi educazionali specifici. L’inclusione di questa terapia come indicatore di qualità delle cure erogate potrebbe facilitare l’implementazione di questa raccomandazione”.
Dieta: low-carb o mediterranea?
Il documento pasa poi al confronto tra terapia nutrizionale a basso contenuto di carboidrati e una dieta bilanciata di tipo mediterraneo.
“Precedenti linee guida raccomandavano terapie nutrizionali bilanciate”, sottolineano gli Autori. “Negli ultimi tempi, tuttavia, vi è un rinnovato interesse per le diete a basso contenuto di carboidrati per indurre una perdita di peso in soggetti affetti da obesità o sovrappeso. Alcuni sanitari hanno iniziato a raccomandare tali diete anche ai soggetti con diabete di tipo 2, basandosi sui benefici a breve termine sul controllo glicemico e ponderale riportati da alcuni studi. Tuttavia, altri studi hanno mostrato effetti migliori in soggetti trattati con diete di tipo mediterraneo”.
Le conclusioni segnalano prove di bassa qualità a favore delle diete low-carb, per le quali si evidenzia anche un piccolo, ma significativo, incremento di HbA1c. Perciò si suggerisce una terapia nutrizionale bilanciata (dieta mediterranea), piuttosto che a basso contenuto di carboidrati.
“Esistono pochi studi di bassa qualità e con pochi pazienti inclusi, che hanno mostrato piccoli, ma significativi, effetti benefici delle terapie nutrizionali bilanciate sul controllo glicemico, rispetto alle diete a basso contenuto di carboidrati”, si legge nel documento. “Sono pertanto necessari trial di buona qualità di confronto che considerino anche la funzione renale tra gli outcome di sicurezza per le diete low-carb”.
Nicola Miglino