Una classe di bio-attivi che potrebbero raggiungere questo risultato sono i chelanti di ferro non assorbibili, tra cui l'alginato di sodio è di particolare interesse. Gli alginati sono polisaccaridi naturali estratti dalle pareti cellulari delle alghe marroni, chimicamente formati da acido β-D-mannuronico non ramificato (1-4) e il suo epimero C5, acido α-L-guluronico. Noti da tempo all'industria alimentare come agenti gelificanti e nell'ambito degli integratori anti-reflusso grazie alla capacità di gelificare, di recente un alginato con lunghezza della catena relativamente breve e alto contenuto di acido β-D-mannuronico è stato identificato come un chelatore di ferro ideale, dimostrando una limitata affinità con il calcio. E' in grado di legare ferro ferroso e inibire l'assorbimento del ferro intestinale murino e alcuni studi clinici hanno dimostrato la capacità della supplementazione di alginato di diminuire l'assorbimento del ferro e quindi ridurre le concentrazioni di ferro nel siero, rendendolo utile nel trattamento delle malattie gastro-intestinali associate ad alti livelli di ferro luminale non assorbito all'interno del colon.
Impatto sul microbioma
Due step ulteriori hanno valutare la sicurezza, la tollerabilità e la fattibilità del consumo giornaliero di 3 g di alginato in volontari sani per un periodo di 28 giorni, utilizzando questionari sulla salute intestinale, oltre a valutazioni del microbioma ematologico e fecale, e l'impatto di questo chelante sui livelli di ferro e sul microbioma in un modello in vitro altamente controllato del colon umano. Nel primo studio il consumo di alginato era di 3,0 g al giorno, un dosaggio superiore a quello consumato in una dieta media di cui esistono molte stime che ne attestano l'esposizione massima giornaliera a 2,1 g al giorno, è stato ben tollerato con effetti collaterali minimi o nulli. I partecipanti hanno riferito un aumento dei processi di fermentazione batterica, presumibilmente indotto dall'alginato. Ciò è supportato dalle osservazioni riportate nell'intestino artificiale di una tendenza all'aumento della produzione di butirrato indicando probabilmente la fermentazione dell'alginato.
Questi cambiamenti fisiologici nella quantità di gonfiore e gas sono importanti da considerare nel contesto della coorte di pazienti a cui tali terapie sono mirate, cioè quelle con Ibd. In modo rassicurante, il consumo di alginato a 28 giorni non ha ridotto i livelli di emoglobina e nella concentrazione di calcio, il che è importante poiché gli alginati hanno una forte affinità per il calcio. Analizzando il microbioma intestinale per tutta la durata dello studio sono stati osservati cambiamenti minimi senza effetti netti positivi o negativi sulla crescita delle specie batteriche presenti, ma poiché i partecipanti allo studio non avevano indicazioni dietetiche eventuali cambiamenti indotti dal consumo di alginato potrebbero essere stati sopraffatti da cambiamenti influenzati da queste differenze dietetiche. Questi cambiamenti limitati nello studio umano sono in accordo con la mancanza di cambiamenti osservati nel modello intestinale, anche se in questo modello i risultati hanno sorpreso per assenza di cambiamenti apparenti nel microbiota con ferro o alginato. Questo probabilmente riflette gli altri agenti chelanti del ferro trovati all'interno della matrice alimentare e la necessità di caratterizzare le esatte specie di ferro nel colon che è responsabile degli effetti disbiotici noti. È evidente da questi studi che qualsiasi futura applicazione dell'uso di alginati come chelanti del ferro luminale richiede una formulazione in cui la bioattività sia mirata al colon e protetta da eventuali agenti dietetici e/o processi digestivi per massimizzare l'attività di legame con il ferro. sono stati rilevati cambiamenti.
Silvia Ambrogio
Bibliografia
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