Il livello di citrato intracellulare riflette lo stato energetico della cellula, funge da regolatore e può essere utilizzato per la biosintesi lipidica di cellule altamente proliferanti o per supportare le funzioni legate al tessuto di cellule specializzate, tra cui la mineralizzazione della matrice extracellulare da parte degli osteoblasti.
A questo proposito, la stretta associazione tra citrato e osso fu evidenziata per la prima volta da Dickens nel 1941 e da allora sono stati fatti notevoli progressi nella comprensione del coinvolgimento osseo, interessanti soprattutto se si considera che questo acido organico debole può essere introdotto con la dieta e/o consumato come integratore alimentare.
Fondamentalmente, l'omeostasi del citrato dipende da quattro fattori: l'assunzione nutrizionale, la clearance renale, il metabolismo cellulare e il rimodellamento osseo.
L'acido citrico è naturalmente contenuto in frutta e verdura, in particolare negli agrumi, con concentrazioni che vanno da 0,005 mol/L in arance e pompelmo a 0,30 mol/L nei limoni. Il citrato alimentare può anche essere prodotto biotecnologicamente da molti microrganismi attraverso un processo di fermentazione, con Aspergillum Niger riconosciuto come il produttore più efficiente.
Non solo: a causa della varietà di applicazioni nell’industria alimentare che lo utilizzano come additivo e conservante, il citrato è l'acido organico più consumato al mondo, rappresentando così un ambito a forte interesse commerciale che ha motivato la ricerca a scoprire nuove tecniche di super produzione.
Il normale apporto nutrizionale di citrato è di circa 4 grammi al giorno e quasi tutto viene assorbito nel tratto gastrointestinale, arriva nel fegato e viene metabolizzato in bicarbonato. L'equilibrio netto tra l'assorbimento gastrointestinale e l'escrezione urinaria di citrato suggerisce che l'assunzione nutrizionale non può essere la sola responsabile del mantenimento dell'omeostasi del plasma, ma neppure lo può essere il metabolismo cellulare poiché quasi tutta la produzione mitocondriale viene consumata dalle cellule.
La maggior parte di citrato viene quindi immagazzinata nell'osso e mobilitata a seguito del riassorbimento della matrice mineralizzata da parte degli osteoclasti. Allo stato attuale, per le linee guida relative alla gestione clinica delle malattie metaboliche ossee, le cause dell'ipocitraturia devono essere prese in considerazione nel condurre una valutazione completa dei pazienti ed è consigliabile il monitoraggio accurato nei soggetti che hanno una ridotta escrezione di citrato urinario.
Poiché l'ipocitraturia può dipendere dalle abitudini alimentari, la dieta deve mirare a correggere l'eccessivo carico di acido e, di conseguenza, gli effetti negativi che l'acidosi ha sul metabolismo osseo. Inoltre, l'ipocitraturia è una risposta all'elevato carico di acido che si verifica nell'acidosi metabolica e vi è un notevole aumento del riassorbimento del citrato nel tubulo prossimale renale quando il pH tubulare diminuisce: la citraturia è un biomarcatore per il monitoraggio della dieta e dello stato acido-base sistemico dipendente dal metabolismo, anche in soggetti senza acidosi metabolica palese.
Frutta e verdura, tranne quelle ad alto contenuto di ossalato, favoriscono l'escrezione di citrato, diminuiscono la saturazione urinaria per calcio-ossalato e calcio fosfato, avendo quindi un effetto protettivo sulla formazione di calcoli renali.
Diversi autori hanno studiato sistematicamente gli effetti delle misure dietetiche sul citrato urinario e sulla nefrolitiasi concludendo che esiste un aumento significativo dei livelli di citraturia solo nei soggetti che hanno consumato succo di frutta, di agrumi e non, e altre bevande mentre le altre modifiche dietetiche non hanno determinato cambiamenti significativi.
Mancano studi clinici volti a valutare se un aumento del citrato nella dieta preservi lo stato di salute delle ossa.
La nefrolitiasi è stata la prima condizione clinica in cui l'integrazione di citrato orale ha invece mostrato efficacia terapeutica, in particolare nel ridurre l'alto tasso di recidiva di calcoli che è più prevalente nelle persone con bassi livelli di citrato urinario.
Esaminando nel complesso la vasta mole di studi clinici presenti in letteratura si arriva a due punti chiave ricorrenti: un'adeguata assunzione di calcio è essenziale per prevenire la perdita ossea nei soggetti anziani e nelle donne in postmenopausa. Il citrato di calcio sembra essere più efficace del carbonato di calcio e il citrato di potassio sembra impedire l'aumento del riassorbimento osseo causato da menopausa, acidemia cronica e assunzione elevata di sale.
L'efficacia può essere migliorata dal trattamento combinato con citrato di calcio e gli effetti positivi sono stati osservati anche nelle giovani donne e in assenza di un eccessivo carico di acido.
Inoltre, l'integrazione con citrato di potassio alcalinizzante migliora gli effetti benefici del calcio e della vitamina D solo nelle donne in postmenopausa osteopenica che hanno mostrato le condizioni target, vale a dire bassa escrezione di potassio e/o citrato e/o basso pH delle urine.
L'interesse per il ruolo del citrato si sta diffondendo, ma i dati raccolti sono ancora eterogenei ed è per questo che manca ancora una dichiarazione di consenso sull'uso della supplementazione per la gestione delle malattie metaboliche dell'osso. Ecco perché allo stato attuale, la supplementazione di citrato in queste malattie è scelta dal singolo clinico in un’ottica di approccio personalizzato per i pazienti che potrebbero trarre benefici reali.
Silvia Ambrogio
Bibliografia
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