In Italia è pokè-mania: business da 143 milioni di euro entro tre anni

07 Settembre 2021

Pokè, ovvero “tagliare a pezzi”. Il nome si riferisce a un piatto base della cucina hawaiana, servito come antipasto o come pasto principale, composto da una base di riso con pesce crudo o marinato, tagliato, appunti, a pezzetti e abbinato a verdura e frutta. Così di moda da fare concorrenza al sushi, pare stia diventando una vera e propria mania nel nostro Paese, secondo il report “Il mercato del pokè in Italia” realizzato da Cross border growth capital, advisor leader in Italia per aumenti di capitale e operazioni di finanza straordinaria per startup e Pmi.

In Italia il piatto hawaiano è arrivato nell’ottobre del 2017, quando I love Pokè ha aperto il suo primo store a Milano, espandendosi poi nel 2018 con Ami Pokè, first mover a Roma e primo Hawaiian Bar in Italia.

Nel 2020 il pokè è stato l’ottavo cibo più ordinato a domicilio, registrando una crescita di oltre il 133% rispetto al 2019. Il mercato delle pokerie in Italia ha registrato nel 2020 un valore di 86 milioni di euro di fatturato, passando a 98 milioni nel 2021, con una previsione di 143 milioni nel 2024.

“Il successo può essere spiegato da diversi fattori, a partire da una maggiore attenzione alla provenienza e al valore nutrizionale degli ingredienti da parte dei consumatori”, sottolinea Andrea Casati, vice president di Cross border growth capital. “Nel 2020/2021 oltre il 50% dei consumatori a livello globale ha dichiarato di essere più consapevole delle proprie scelte alimentari rispetto al 2010 e questo si è riflesso anche nella scelta di piatti e ingredienti salutari, come il pokè, a scapito del junk food. Essendo, poi, un piatto pratico, consumabile da freddo, componibile e compatibile con il trasporto, è perfettamente funzionale al delivery, trend in forte aumento negli ultimi anni e, in particolare, durante la pandemia da Covid-19: solo la piattaforma Deliveroo ha registrato un aumento di transazione gestite del 130% anno su anno, raddoppiando il numero di clienti attivi a 7,1 milioni nell’aprile del 2021”.

Così Silvia Ambrogio, biologa nutrizionista e consulente della nostra testata: “Da un punto di vista nutrizionale l’arrivo dei pokè anche nelle nostre città ha portato una valida alternativa al classico lunch box per chi deve pranzare fuori casa e non vuole ricorrere a street food, fast food e pizzerie. Il più classico e bilanciato dei pranzi raccomandati nella dieta mediterranea prevede un cereale, una fonte di proteine, una fonte di grassi buoni e verdure a volontà. Un pokè, per essere definito tale, dovrebbe essere composto da una base a scelta tra diversi cereali, con possibilità spesso di disporre della versione integrale, una o due proteine diverse, privilegiando pesce, carne bianca, tofu e legumi, grassi buoni sia nella versione oleosa – olio extravergine – sia nella versione alimentare – avocado, mandorle, noci, semi. Ovviamente, poi, alghe e verdure crude. Non solo un piatto bilanciato, ma con la sua caratteristica combinabilità, praticamente si possono mangiare più di cinque cereali diversi e almeno tre fonti proteiche differenti in una settimana lavorativa e, poiché anche l’occhio vuole la sua parte nell’alimentazione, il fatto che ne risulti un piatto colorato non guasta.”

Nicola Miglino

 

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